Jonathan Gregory

A ogni età la sua rivoluzione. Nella Parigi degli anni ‘20 e ‘30 del secolo scorso, furono Coco Chanel e Elsa Schiaparelli a sfidare le antiquate convenzioni della moda femminile. Seguendo ognuna il proprio percorso, le due stiliste rivali bandirono il formalismo dei corsetti, simbolo di un’epoca ormai tramontata, privilegiando nuovi stili che esaltavano la comodità, la praticità e la libertà di movimento. Fu un momento sublime per la moda: dalla flamboyance più eccentrica all’estetica “semplice e chic”, le loro idee svelavano sempre una creatività elegante, unita a una straordinaria capacità innovativa nei materiali e nel design. Dopo i capi in maglia e l’abito a portafoglio di Elsa Schiaparelli (che fu inoltre la prima stilista a usare la zip come dettaglio di stile) e il tessuto jersey, il tailleur eponimo in tweed e il “tubino nero” di Coco Chanel, il mondo non si è più voltato indietro. 

Ma oltre a lanciare una rivoluzione sartoriale che avrebbe ridisegnato i contorni della moda, le due stiliste trovarono anche il tempo per condurre una vita piena (e alquanto colorata). Le cronache dell’epoca sorprendono per la scia di personaggi di spicco, tra i quali attori, artisti, surrealisti, musicisti, compositori, anarchici, aristocratici, reazionari e rivoluzionari, che da Parigi fino alla Costa Azzurra sfilano lungo la passerella della vita. La scelta di intitolare la sua autobiografia “Schocking Life” fu per la Schiaparelli una decisione ispirata quanto tutte le sue creazioni. 

A differenza di quanto avviene nel mondo dell’haute couture, le banche centrali preferiscono per loro natura non scioccare nessuno; ma forse i tempi in cui viviamo richiedono comunque una rivoluzione delle politiche. Appena passato il panico che ha colpito i mercati all’inizio dell’anno, il Tesoro americano e la Federal Reserve hanno varato un piano di aiuti congiunto da 750 miliardi di dollari a sostegno del mercato primario e secondario del debito societario, con l’obiettivo di stimolare la liquidità del mercato obbligazionario corporate attraverso l’acquisto di obbligazioni ed ETF. In sostanza, la Fed ha promesso di fungere da compratore o market maker di ultima istanza per le obbligazioni societarie idonee.

Gli investitori sono già avvezzi all’idea che le banche centrali agiscano come prestatori di ultima istanza: in una crisi, l’istituto centrale garantirà liquidità alle banche commerciali che sarebbero altrimenti solvibili ma hanno problemi di liquidità a breve termine. La funzione di prestatore di ultima istanza è infatti il ruolo che le banche centrali hanno mantenuto costantemente lungo la storia, mentre la responsabilità indipendente per la politica monetaria in molti casi è arrivata dopo. 

Adesso, però, persino la funzione di prestatore di ultima istanza sembra richiedere un urgente cambio di stile: sempre più spesso sono i mercati, e non le banche commerciali, a trasferire i risparmi all’economia. Così, quando a marzo i mercati del credito si sono bloccati di fronte all’evidenza del pieno impatto del COVID-19 sugli utili aziendali, si è creato un grave pericolo per l’allocazione efficiente del capitale.

Con il suo intervento, la Fed ha inviato un chiaro messaggio a investitori e mutuatari, impegnandosi in sostanza a fornire un backstop di liquidità per il mercato secondario e offrendo ai mutuatari corporate idonei la possibilità di contare sulla Federal Reserve come prestatore di ultima istanza. L’effetto è stato straordinario, i prezzi delle obbligazioni societarie si sono ripresi molto velocemente e il mercato delle nuove emissioni è riesploso.

L’aspetto più interessante della faccenda è che la Fed ha speso relativamente poco per ottenere molto (il Sacro Graal della funzione di prestatore di ultima istanza: guadagnare credibilità senza spendere soldi). A fine ottobre, gli acquisti di obbligazioni corporate e di ETF della Fed sul mercato secondario non superavano in totale i 13,3 miliardi di dollari0 e neanche un dollaro era stato speso sul mercato primario. Questo a fronte di un potere di spesa congiunto di 750 miliardi di dollari. 

Agli investitori non dovrebbe sfuggire il messaggio: in un mercato dove i timori sulla liquidità hanno alimentato dubbi circa i meriti di questa asset class, la Fed ha adattato la sua funzione di prestatore di ultima istanza per lenire in parte queste preoccupazioni. Di fatto, i prestiti di emergenza e le misure di sostegno alla liquidità scadranno il 31 dicembre 2020 e, a causa delle insolite schermaglie tra il Tesoro americano e la sua banca centrale, non saranno immediatamente rinnovati. Ma vista l’efficacia dell’intervento iniziale e l’importanza dei mercati del credito per l’allocazione del capitale nell’economia moderna, sembra probabile che il programma, o qualcosa di analogo, sarà riavviato in future situazioni di panico.

Il programma di acquisto di attività (Asset Purchase Programme, APP) della Banca Centrale Europea è stato lanciato nel 2014 con un’ambizione assai più ampia del mero supporto alla liquidità del mercato. La BCE voleva usare i mercati del credito per sostenere l’intero meccanismo di trasmissione della politica monetaria, trasformando in sostanza le obbligazioni societarie, e altre attività, in strumenti di politica monetaria. A marzo 2020, al programma APP si è aggiunto il Programma di Acquisto di Emergenza Pandemica (PEPP), ancora più sostanzioso e flessibile, e l’obiettivo espansivo è stato esplicitato nel relativo comunicato stampa: “...Il Consiglio Direttivo farà tutto il necessario nell’ambito del proprio mandato. Il Consiglio Direttivo è pronto ad aumentare l’entità dei propri programmi di acquisto di attività e a modificarne la composizione secondo necessità e finché necessario...”.1

A fronte di questa ambizione piuttosto estesa (che allude a un potere d’acquisto illimitato e insensibile ai prezzi), la BCE detiene ora circa 250 miliardi di euro di obbligazioni corporate (equivalenti a oltre 20 volte le partecipazioni della Fed), pari al 25% circa dell’universo idoneo di obbligazioni societarie2: un livello di intervento su una scala decisamente diversa da quella della Fed.

Ma gli interventi delle banche centrali non rappresentano un bene assoluto. Pur potendo fornire enorme sollievo in una crisi, ci sono delle conseguenze. A giugno scrivevo che, in parte come reazione all’intervento delle banche centrali, i rendimenti e gli spread delle obbligazioni societarie erano scesi a livelli molto bassi3. Ciò ha determinato forti guadagni a breve termine, ma rende necessario un attento esame da parte degli investitori per accertarsi di essere adeguatamente remunerati in vista delle sfide economiche future. Da allora questi trend hanno subito un’accelerazione. Il Grafico 1 mostra come i rendimenti degli indici più diffusi abbiano ormai raggiunto minimi record: raramente gli investitori in obbligazioni corporate sono stati remunerati così poco nel complesso.

Grafico 1 - Rendimento e durata effettivi delle obbligazioni corporate dal 1997 al 31 ottobre 2020

US corporate index

Euro corporate index

Il Grafico 1 mostra il rendimento effettivo e la duration delle obbligazioni corporate statunitensi ed europee inversamente correlate dal 1997 al 31 ottobre 2020. Vengono mostrati rendimenti bassi e duration elevata.

Mentre i rendimenti dei titoli governativi e societari sono diminuiti, le duration degli indici di obbligazioni corporate – la sensibilità dei prezzi alle variazioni dei rendimenti – sono aumentate (matematicamente, rendimenti più bassi corrispondono sempre a una duration superiore). Questa estensione della duration si è intensificata perché buona parte del nuovo debito raccolto nel 2020 riguarda obbligazioni con scadenza più lunga, visto che le società cercano di accaparrarsi fondi a lungo termine a basso costo. Il Grafico 1 mostra anche le variazioni della duration negli indici di credito statunitensi ed europei nel tempo. Il punto è che, adesso, incrementi molto limitati del rendimento possono portare a notevoli perdite mark-to-market. Per comprendere questo fenomeno nel contesto del mercato del credito statunitense, un aumento di 1 punto base (0,01%) del rendimento significherebbe una flessione di 7 miliardi di dollari del valore complessivo del mercato4.

Pur essendo ancora convinti che i mercati globali del credito offrano opportunità interessanti, riteniamo che gli investitori debbano muoversi con maggiore cautela. E questo nonostante i livelli di sostegno che le banche centrali continuano a fornire e che hanno attenuato in parte i timori per la liquidità e profondità del mercato. I rischi di ribasso stanno crescendo con la nuova moda dei rendimenti ai minimi record, delle duration ai massimi livelli (sensibilità ai rendimenti) e di una qualità creditizia media che è diminuita negli ultimi vent’anni. Un esempio è dato dalle obbligazioni con rendimenti negativi, che oggi costituiscono il 33% del Bloomberg Barclays Eurozone Corporate Index (un universo obbligazionario seguito da molti investitori). È opportuno ripetere che tali obbligazioni garantiscono perdite agli investitori, al lordo dell’inflazione, se mantenute fino a scadenza.

Grafico 2 - Percentuale di debito a rendimento negativo nell'universo delle obbligazioni corporate dell'Eurozona

Il Grafico 2 mostra la percentuale di debito a rendimento negativo nell'universo delle obbligazioni corporate dell'Eurozona nell'ultimo anno, attualmente al 33% alla fine di ottobre.

Detto questo, per gli investitori è comunque possibile ottenere rendimenti interessanti adottando un approccio attivo alla gestione dei rischi di credito e di duration insiti in molti dei più diffusi indici di credito. Per realizzare buoni rendimenti nel lungo periodo sarà necessario considerare attentamente i pro e i contro dell’intervento delle banche centrali nei mercati, senza rinunciare a un’estensiva ricerca sul credito.


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