Jonathan Gregory
Head of UK Fixed Income

Gennaio 2023 | Un cuscino più alto contro un altro atterraggio difficile

In un tempo ormai lontano, l’istruttore di atletica del mio liceo, fresco di nomina (ed eccessivamente ambizioso), avvertì un giorno la necessità di introdurre nuovi sport "moderni" ed “entusiasmanti".

Nonostante frequentassimo una delle scuole più disagiate del quartiere dal punto di vista sportivo, dove mancavano persino le reti alle porte da calcio, il programma era sicuramente audace. L’obiettivo delle nuove sessioni di atletica leggera era spingere in massa gli impavidi e i timorosi (potete immaginare a quale gruppo appartenessi io) verso nuove e straordinarie direzioni. Quello che mi spaventava di più era il salto con l'asta. Mentre il nostro allenatore insisteva sulla necessità di esprimere velocità, agilità, forza, coordinazione e abilità tecnica, tutto ciò su cui riuscivo a concentrarmi era lo spessore del materasso di sicurezza, che non sembrava mai sufficiente. Sebbene non abbia memoria di un solo salto riuscito, ricordo tutte le cadute di faccia, le spanciate e le capriole all'indietro.

Di recente mi è tornata alla mente la necessità di un adeguato livello di sicurezza. Pochi investitori rimpiangeranno la fine del 2022, anno in cui gli indici obbligazionari globali hanno perso circa il 12%, il peggior rendimento a memoria d'uomo. E per la prima volta, nella mia carriera di oltre trent’anni, ho visto più anni consecutivi di perdite nell’obbligazionario globale. Il 2023 porterà un po’ di sollievo per gli investitori in obbligazioni? Non possiamo saperlo con certezza, ma io sono ottimista. Mentre affronto coraggiosamente la rincorsa, mi conforta quantomeno sapere che da tempo non si vedeva un materasso così alto.

Transizioni difficili

Prima di arrivarci, è vero che le banche centrali sono bloccate nel bel mezzo di un gelido inverno politico. Due eventi di dicembre meritano particolare attenzione. Alla fine del mese la Bank of Japan (BoJ) ha sorpreso quasi tutti con un importante cambiamento di politica. Dal 2016 la BoJ manipola i mercati obbligazionari per mantenere il rendimento delle obbligazioni a 10 anni vicino allo 0% attraverso una politica nota come "controllo della curva dei rendimenti" (Yield Curve Control, YCC). Questa politica implica in effetti una forma quasi illimitata di quantitative easing (QE), o acquisto di obbligazioni, da parte della banca centrale, allo scopo di mantenere bassi i rendimenti e riportare l'inflazione verso l'obiettivo.

In altri Paesi, un'inflazione ben al di sopra del target aveva già indotto la maggior parte delle banche centrali a invertire la rotta sulle politiche monetarie ultra-accomodanti come il QE, quindi a fine 2022 la BoJ rappresentava una seria anomalia. Attenendosi rigidamente a un tasso ufficiale negativo (ve li ricordate?) e al controllo della curva dei rendimenti, la Bank of Japan insisteva che l'inflazione giapponese fosse un problema temporaneo, generato perlopiù dall'offerta. Ma all'improvviso, a dicembre, la BoJ ha alzato il tetto dei rendimenti decennali, portandolo in un range più elevato rispetto a quello fissato in precedenza. Potrebbe non sembrare una gran cosa, visto che la BoJ non ha abbandonato i tassi negativi, il controllo della curva dei rendimenti o il QE, bensì ha compiuto solo un passo indietro rispetto alla portata del suo impegno verso una politica accomodante.

Ma forse è proprio questo il punto: quasi tutte le altre banche centrali dei mercati sviluppati hanno cambiato rotta, passando dalle politiche ultra-accomodanti del mondo COVID a quelle molto più aggressive di oggi, solo dopo un lungo periodo di negazione dell'entità della risposta politica necessaria per contrastare l'aumento dell'inflazione.

Queste transizioni nell’orientamento delle politiche hanno avuto quasi sempre esiti negativi per gli obbligazionisti. Quando la Reserve Bank of Australia ha abbandonato la sua versione del controllo della curva dei rendimenti nel 2021, i rendimenti target sono saliti dell'1% in poche settimane e ora sono più alti di circa il 3%. La Fed ha iniziato a rallentare gli acquisti di asset (ve lo ricordate?) nel novembre 2021 e adesso, a un anno di distanza, sta vendendo asset e i tassi ufficiali vanno alle stelle. Il rallentamento del QE ha segnato l’inizio, non la fine, di un'importante inversione della politica.

Gli investitori globali hanno quindi ancora buoni motivi per andare short sul Giappone, come continuiamo a fare anche noi nelle nostre strategie. I rendimenti sono sicuramente aumentati da quando la BoJ ha modificato la sua politica, ma dato che siamo probabilmente nelle prime fasi di questa transizione, le posizioni corte sembrano offrire una buona remunerazione del rischio (il Giappone è ancora indubbiamente il mercato obbligazionario con il rendimento più basso del G7). In realtà, anche con questo cambiamento, rimane qualcosa di incoerente nella politica giapponese: da un lato il controllo della curva dei rendimenti, e l'implicito QE illimitato, agiscono generalmente per indebolire una valuta – ed è stato certamente il caso dello yen, che i primi di dicembre perdeva il 20% da inizio anno rispetto al dollaro USA. Ma la stessa debolezza della valuta è stata anche un importante motore dell'inflazione interna, che ha costretto le autorità giapponesi a intervenire sui mercati valutari con l’acquisto di yen per sostenerne il valore da metà novembre.

Il Giappone ha sborsato almeno 62 miliardi di dollari per sostenere lo yen da settembre, ma allo stesso tempo ne ha spesi 128 miliardi per acquistare obbligazioni decennali a dicembre, nell'ambito del programma di controllo della curva dei rendimenti, per cercare di contenere il rendimento al nuovo livello più alto.1

In una certa misura, queste politiche agiscono in direzioni opposte. Secondo la nostra esperienza, le politiche incoerenti di solito crollano abbastanza rapidamente e spesso più velocemente di quanto si immagini.

Il secondo segnale di allarme per gli investitori è arrivato dalla Fed e dalla BCE. Apparentemente non c'era molto da preoccuparsi. I rialzi dei tassi attuati a dicembre da entrambe le banche centrali erano ampiamente previsti dai mercati – 0,5% in ciascun caso – ed entrambe hanno ridotto l'entità degli aumenti rispetto alle riunioni precedenti.

Ma per quanto alcuni abbiano accolto con favore la minore entità dei rialzi come segno di un certo disgelo politico in arrivo, il diavolo si nascondeva nei dettagli. Entrambe le banche centrali hanno pubblicato le proiezioni economiche per gli anni a venire, e a colpire è stato un punto in particolare: il loro outlook per il 2023 prevede un'inflazione attesa più elevata e una crescita attesa più bassa rispetto alle rispettive proiezioni di settembre, quindi nel giro di soli tre mesi il mood è diventato più cupo.

In previsione di un'inflazione attesa più elevata, forse non sorprende che entrambe le banche centrali vedano poco spazio per una riduzione dei tassi ufficiali da qui in avanti (la Fed ha addirittura rivisto al rialzo le sue aspettative per la fine del 2023). Le Figure 1 e 2 evidenziano i cambiamenti per le due banche centrali, ma il tema è quello di cui parliamo da tempo: gli investitori devono riuscire ad acclimatarsi a un mondo caratterizzato da una crescita più bassa e da un'inflazione più elevata rispetto a quello che conoscevano da molti anni.

 

Figura 1 | Proiezioni macroeconomiche della BCE

Proiezioni economiche e di inflazione della BCE per l’Europa dal 2022 al 2024: sono rappresentati in grigio di dati a settembre 2022 e in celeste i dati a dicembre 2022.

Il grafico a barre mostra le proiezioni economiche e di inflazione della BCE per l’Europa dal 2022 al 2024.

Figura 2 | Proiezioni macroeconomiche della Federal Reserve

Proiezioni economiche e di inflazione della Federal Reserve dal 2022 al 2024: sono rappresentati in grigio di dati a settembre 2022 e in celeste i dati a dicembre 2022.

Il grafico a barre mostra le proiezioni economiche e di inflazione della Federal Reserve dal 2022 al 2024.

Da metà novembre i rendimenti obbligazionari di Stati Uniti ed Eurozona hanno messo a segno un mini-rally (i prezzi sono saliti mentre i rendimenti sono scesi), in quanto è cresciuto l'ottimismo circa l’avvenuto superamento del picco dell’inflazione. Tuttavia, come mostra la Figura 3, i rendimenti sono tornati a salire a dicembre, via via che venivano metabolizzate le implicazioni dei commenti e delle azioni politiche di BoJ, Fed e BCE.

Figura 3 | Rendimenti dei Treasury USA e dei Bund tedeschi a 10 anni, anno civile 2022

Oscillazioni dei rendimenti dei Treasury USA a 10 anni e dei titoli tedeschi a 10 anni nel 2022.

Il grafico a linee mostra le oscillazioni dei rendimenti dei Treasury USA a 10 anni e dei titoli tedeschi a 10 anni nel 2022.

Potremmo quindi assistere a un terzo anno consecutivo di perdite per gli obbligazionisti? Potenzialmente sì, ma non dobbiamo perdere di vista gli aspetti positivi.

Un risvolto positivo dell'inarrestabile rialzo dei rendimenti nel 2022 è l’asticella più alta contro le perdite nel 2023. In generale, più elevato è il livello del rendimento, maggiore sarà l’entità degli aumenti necessari per generare un rendimento totale negativo nei dodici mesi successivi. In parole povere, rendimenti più elevati (reddito) significano un cuscinetto più grande contro la diminuzione dei prezzi.

Possiamo considerarlo come un livello di "pareggio" per i rendimenti obbligazionari: se oggi compriamo un’obbligazione al rendimento di mercato, di quanto devono salire ancora i rendimenti obbligazionari (con la relativa diminuzione dei prezzi) per annullare quel reddito nell'arco di 12 mesi? La risposta sarà diversa a seconda dei mercati, ma nella Tabella 1 ho riportato i dati relativi ad alcuni degli indici obbligazionari più comuni seguiti dagli investitori oggi.2

Indice

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Break-even a fine dicembre 2021 (pb)

Break-even a fine dicembre 2021 (pb)

Break-even a fine dicembre 2022 (pb)

Break-even a fine dicembre 2022 (pb)

Cuscinetto extra per assorbire l’aumento dei rendimenti (pb)

Cuscinetto extra per assorbire l’aumento dei rendimenti (pb)

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Bloomberg Global Aggregate Index

Break-even a fine dicembre 2021 (pb)

17

Break-even a fine dicembre 2022 (pb)

56

Cuscinetto extra per assorbire l’aumento dei rendimenti (pb)

38

Indice

Bloomberg Global Aggregate 1-3 Year Index

Break-even a fine dicembre 2021 (pb)

38

Break-even a fine dicembre 2022 (pb)

192

Cuscinetto extra per assorbire l’aumento dei rendimenti (pb)

155

Indice

Bloomberg Global High Yield Index

Break-even a fine dicembre 2021 (pb)

114

Break-even a fine dicembre 2022 (pb)

230

Cuscinetto extra per assorbire l’aumento dei rendimenti (pb)

116

Indice

ICE BofA Euro High Yield Constrained Index

Break-even a fine dicembre 2021 (pb)

134

Break-even a fine dicembre 2022 (pb)

276

Cuscinetto extra per assorbire l’aumento dei rendimenti (pb)

142

Indice

Bloomberg Global Aggregate Corporates Index

Break-even a fine dicembre 2021 (pb)

25

Break-even a fine dicembre 2022 (pb)

85

Cuscinetto extra per assorbire l’aumento dei rendimenti (pb)

59

Indice

ICE BofA 1-3 Year Eurodollar Index

Break-even a fine dicembre 2021 (pb)

63

Break-even a fine dicembre 2022 (pb)

282

Cuscinetto extra per assorbire l’aumento dei rendimenti (pb)

219

Indice

JPM EMBI Global Diversified Index*

Break-even a fine dicembre 2021 (pb)

66

Break-even a fine dicembre 2022 (pb)

125

Cuscinetto extra per assorbire l’aumento dei rendimenti (pb)

59

Fonte: UBS, JP Morgan, Bloomberg Finance L.P, a fine dicembre 2022.
La performance passata non è indicativa di risultati futuri.

*Dati dell'indice JPM EMBI Global Diversified, a fine novembre 2022.

Si noti che la tabella è riportata solo a scopo illustrativo e non è in alcun modo indicativa di futuri rendimenti o livelli di rendimento.

Il 1° gennaio 2022 l'indice Bloomberg Barclays Global Aggregate rendeva poco più dell'1%. Con una duration di quasi 8 anni, il “pareggio” (o cuscinetto contro le perdite) era appena dello 0,17% (quasi niente). Se andiamo avanti fino al 1° gennaio 2023, lo stesso indice rende oggi il 3,8% e ha un punto di pareggio dello 0,56%, quindi quasi quattro volte il reddito annuale e il livello di pareggio. Quanto più è breve la duration e/o quanto più è alto il rendimento di partenza, tanto maggiore è il cuscinetto; quindi, le obbligazioni globali a 1-3 anni hanno un punto di pareggio di quasi il 2% e l’Euro high yield di quasi il 2,8%.

Questi cuscinetti un po' più ampi contro le perdite che abbiamo oggi rispetto a un anno fa derivano dall'importante repricing dei mercati obbligazionari nel 2022. Inoltre, i mercati hanno un approccio previsionale, quindi scontano già un certo grado di ulteriore inasprimento da parte delle banche centrali; questi fattori erano in gran parte assenti nei prezzi del mercato obbligazionario un anno fa.

A prescindere dalle valutazioni migliori, è ancora possibile un terzo anno consecutivo di perdite nel 2023, evento che non avrebbe precedenti. Tuttavia, le conclusioni della Tabella 1 sono uno dei fattori che ci hanno spinto a diventare più costruttivi sulle obbligazioni verso la fine dello scorso anno, in quanto hanno contribuito a plasmare il nostro pensiero sulle migliori opportunità che ho delineato il mese scorso: il mercato statunitense nel suo complesso, i titoli di Stato USA protetti dall'inflazione, le obbligazioni globali e l’Euro high yield.

E posso dirvi che lo spessore del materasso sui cui si atterra incide notevolmente sul divertimento.

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