Di Jonathan Gregory

Molti anni fa il mio unico bisogno nella vita era volare. Essendo un giovane spiantato, il solo modo pratico che avevo di soddisfare questo bisogno era andare in aliante. È facile indovinare tutte le cose che potrebbero andare storte in un aereo senza motore che pesa all’incirca quanto un tavolo da cucina ed è costruito con materiali simili.

Uno dei maggiori rischi per i piloti inesperti, tuttavia, è l’insorgenza improvvisa di ipossia, ovvero una carenza di ossigeno. Noi giovani piloti alle prime armi ricevevamo quindi avvertimenti molto severi sugli effetti letali di volare sopra i 10.000 piedi (3.048 metri), dove un supplemento di ossigeno era una necessità assoluta. Superata quell’altezza senza una bombola d’aria, i primi sintomi che si avvertono sono euforia, confusione, fissazione del bersaglio, difetti di vista e scarsa capacità di giudizio. Come si può immaginare, per un pilota questi sono problemi molto gravi. Il mio manuale di volo riteneva persino necessario accompagnare la descrizione clinica di ciascun effetto con il duro monito “=MORTE!”. (Suppongo che servisse soprattutto alle persone prive di immaginazione, forse una caratteristica comune dei giovani piloti.)

Anche i miei amici di allora, appassionati scalatori, erano ben informati sui pericoli dell’ipossia. A tal proposito, utilizzavano un termine prosaico per indicare le altitudini estreme in cui il corpo consuma più ossigeno di quanto ne possa reintegrare e l’essere umano non riesce ad acclimatarsi: la Zona della morte. Non ricordo che ci soffermassimo molto sui rischi in quei tempi lontani e piuttosto idilliaci, fatti di vacanze gioiose, cartoline dai panorami soleggiati, ragazzi e ragazze sorridenti. Ma in fondo avevamo solo vent’anni. In altre parole, ci credevamo immortali.

Essendo sopravvissuto all’eccessiva fiducia dei miei anni giovanili alla guida di uno Slingsby Skylark, mi sembra ironico trovarmi alle prese con i sintomi dell’ipossia – euforia, confusione, fissazione del bersaglio – adesso che mi trovo seduto al sicuro dietro la mia scrivania. Ma non stiamo parlando tanto di ipossia, quanto piuttosto del mercato obbligazionario o, più precisamente, dei mercati finanziari in generale (si spera senza una scarsa capacità di giudizio nel mio caso).

Il voltafaccia delle banche centrali

Per i mercati questa sensazione di euforia deriva non tanto da una mancanza di ossigeno, quanto da una mancanza di rendimento; nello specifico, dai bassi rendimenti che sono scaturiti da anni di interventi aggressivi da parte delle banche centrali e che sono utilizzati per scontare i prezzi di quasi tutte le asset class, spingendoli ad altezze sempre più vertiginose. La sensazione di confusione, dal canto suo, deriva da un notevole disagio per ciò che ci aspetta. L’inflazione sta aumentando, e anche velocemente. Fissate sugli obiettivi di inflazione, le banche centrali faticano a comunicare chiaramente l’impostazione della politica monetaria e gli investitori stentano a coglierne appieno le implicazioni.

Questa combinazione di euforia e confusione potrebbe non voler dire “=MORTE!” ma, se non viene gestita nel modo giusto, potrebbe condurre comunque a risultati piuttosto sgradevoli. I risparmi in forma liquida non sono certo immortali. Mentre cerchiamo di comprendere il significato di tutto questo, la reazione del mercato alle recenti e brusche decisioni politiche delle banche centrali offre una chiara illustrazione dei pericoli per gli investitori. Queste cartoline illustrate non descrivono un panorama da sogno.

Il Grafico 1 mostra il rendimento dei titoli di Stato australiani a 2 anni. Fino a qualche tempo fa la Reserve Bank of Australia (RBA) utilizzava il “controllo della curva dei rendimenti” quale strumento di politica monetaria. L’idea di fondo era la seguente: con i tassi di policy già vicini allo zero, un intervento sui mercati volto a limitare i rendimenti delle obbligazioni con scadenza 2024 allo 0,1% avrebbe stimolato i prestiti attraverso tassi a lungo termine più bassi, segnalando inoltre efficacemente l’intenzione dell’RBA di mantenere i tassi di policy contenuti. Questo approccio è parso dare i suoi frutti, finché non ha funzionato più. Negli ultimi mesi l’inflazione nei mercati sviluppati è rimasta ostinatamente elevata, mettendo in discussione la tesi che fosse transitoria. Un’ondata di vendite da parte degli investitori ha spinto al rialzo i rendimenti a 3 anni, che hanno superato l’1,0%. Con una mossa inattesa, quasi improvvisa, l’RBA ha smesso di difendere l’obiettivo dello 0,1%; una brutta notizia per coloro che detenevano titoli di Stato australiani a breve termine con l’idea che la banca centrale avrebbe mantenuto invariata la sua linea politica.

Grafico 1: Obbligazione australiana a 2 anni (2,75% 4/2024)

Il grafico mostra il rendimento del titolo di Stato australiano con scadenza 2024. Come si può notare, il rendimento è balzato dallo 0,1% circa a quasi lo 0,8% dopo che la Reserve Bank of Australia ha smesso di difendere l’obiettivo dello 0,1%.

Il Grafico 2 dipinge un quadro analogo, ma questa volta in Canada, dove a ottobre la banca centrale ha bruscamente interrotto gli acquisti di asset condotti nel quadro del suo programma di quantitative easing. Questo inatteso cambio di rotta è imputabile a fattori analoghi a quelli visti in Australia, e si è prodotto in un contesto di pressioni al rialzo sui rendimenti.

E, proprio come in Australia, il brusco mutamento della politica monetaria ha provocato un ulteriore aumento dei rendimenti, che sono però tornati parzialmente sui loro passi a seguito delle recenti notizie sulle varianti del coronavirus. Ancora una volta, gli investitori obbligazionari che si aspettavano un sostegno continuo da parte della banca centrale si sono trovati a incassare perdite.

Grafico 2: Titolo di Stato del Canada - 0,25% 4/2024

Il grafico mostra il rendimento del titolo di Stato canadese con scadenza 2024, che è aumentato a partire da ottobre in seguito alla brusca interruzione del programma di quantitative easing della Bank of Canada.

Infine, il Grafico 3 descrive l’andamento dei tassi a 2 anni nel Regno Unito, dove nelle ultime settimane la Bank of England non ha brillato per chiarezza nelle sue comunicazioni, ha confuso molti e spinto i rendimenti su una traiettoria che somiglia all’atterraggio di un pilota dilettante, con un sobbalzo dopo l’altro lungo tutta la pista e gli astanti con il fiato sospeso in attesa di vedere come va a finire1.

Grafico 3: Titolo di Stato del Regno Unito - 0,125% 1/2024

Il grafico mostra il rendimento del titolo di Stato britannico con scadenza nel 2024, che ha registrato un aumento da settembre in quanto la Bank of England non ha brillato per chiarezza nelle sue comunicazioni a fronte dell’accelerazione dell’inflazione.

Incassare perdite

Queste storie hanno in comune tre cose: (1) all’inizio dell’anno, i rendimenti delle obbligazioni a breve termine erano vicini a zero (o anche negativi, nel caso del Regno Unito), quindi gli investitori erano privi di un margine di protezione contro i ribassi dei prezzi che sarebbero derivati da un eventuale rialzo dei rendimenti; (2) l’affermarsi di una narrazione sulle prospettive d’inflazione che ha provocato un brusco aumento dei rendimenti; (3) una repentina inversione di rotta delle autorità monetarie, che ha preso i mercati in contropiede. Il risultato è che molti investitori in titoli di Stato a breve termine dei mercati sviluppati, considerati di solito tra gli investimenti più sicuri, hanno subito perdite mark-to-market da inizio anno.

E il peggio potrebbe non essere ancora passato. Nonostante la recente correzione, il rendimento dell’ICE Bank of America World Government Bond Index (un indice seguito da molti investitori) si attesta ancora ad appena lo 0,6%. Vedi Grafico 4. Nessuno può dire con certezza come si evolverà esattamente il quadro dell’inflazione; alcuni elementi depongono a favore di una sua diminuzione nel 2022 (ma persino la Fed ha stracciato il piano di volo basato sull’ipotesi di un’inflazione transitoria). Tuttavia, ci sono fattori strutturali in gioco che potrebbero smentire completamente quell’idea e mantenere l’inflazione su livelli elevati2. La questione fondamentale è che a fronte di rendimenti tanto contenuti il margine di protezione per gli investitori è ancora molto risicato, specialmente per quanti detengono obbligazioni a breve termine sul tratto anteriore della curva. In caso di ulteriore aumento dell’inflazione (o delle aspettative di inflazione), le perdite per gli investitori impreparati non faranno che aumentare.

Grafico 4: ICE BofA World Government Bond Index - Rendimento effettivo

Il grafico mostra il rendimento dell’ICE Bank of America World Government Bond Index (un indice di riferimento seguito da molti investitori), che si attesta ancora allo 0,6% nonostante il rialzo di molti rendimenti obbligazionari a livello globale.

In realtà la situazione è peggiore di così. Fin qui abbiamo fatto riferimento ai rendimenti nominali (ossia al lordo dell’inflazione). Visto il livello estremamente basso dei rendimenti, è molto probabile che i rendimenti reali (al netto dell’inflazione) siano negativi. Consideriamo, ad esempio, gli Stati Uniti. Il rendimento nominale dell’ICE Bank of America 3-5 anni US Treasury Index è pari attualmente all’1% circa. Nel Grafico 5 abbiamo sottratto la media mobile a 3 anni dell’inflazione dei prezzi al consumo (CPI) negli Stati Uniti dal rendimento nominale dell’indice per tracciare l’andamento del rendimento reale che si ottiene in via residuale con questa operazione. Come si può vedere, il rendimento dei Treasury ha compensato in misura sempre minore gli effetti dell’inflazione nel tempo.

Grafico 5: Rendimento dell’ICE BofA 3-5yr US Treasury Index, corretto per l’inflazione (rendimento dell’indice – media mobile a 3 anni del CPI complessivo)

In questo grafico, abbiamo sottratto la media mobile a 3 anni dell’inflazione dei prezzi al consumo negli Stati Uniti dal rendimento nominale dell’ICE BofA 3-5yr Index per trovare il rendimento reale dell’indice. Il grafico mostra che i rendimenti reali sono saldamente in territorio negativo.

Ricordiamo anche che la maggior parte delle banche centrali nei mercati sviluppati persegue un obiettivo di inflazione intorno al 2%3. Anche se i rendimenti non aumentassero ulteriormente e gli attuali tassi d’inflazione elevati si rivelassero in effetti transitori, in molti paesi i rendimenti nominali dei titoli di Stato sarebbero comunque inferiori al target d’inflazione della banca centrale. Per indicare la propensione a concentrarsi sui rendimenti nominali e a sorvolare sugli effetti deleteri dell’inflazione, gli economisti hanno coniato l’espressione “illusione monetaria”.

Consapevolezza della situazione

Cosa si può fare? Il primo passo consiste semplicemente nel capire cosa succede attorno a noi, ovvero nel maturare una “consapevolezza della situazione”, come direbbe infinite volte un istruttore di volo ai suoi allievi. In caso di ipossia, all’inizio i sintomi sono quasi impercettibili: una lieve confusione su ciò che sta accadendo, qualche tentennamento, diniego; basta una decisione sbagliata e in un attimo si perde – letteralmente – il controllo della situazione. È importante dunque essere vigili e prendere misure correttive laddove necessario. Oggi questo significa accettare che il mondo sta cambiando. Per molti anni i titoli di Stato a breve termine hanno rappresentato un investimento relativamente sicuro, in grado di offrire performance apprezzabili a fronte di un calo dell’inflazione e dei rendimenti. Adesso siamo arrivati a un punto in cui i rendimenti sono ancora vicini a zero, ma i rischi al rialzo sul fronte dell’inflazione sono molto più elevati.

Un approccio all’investimento obbligazionario basato sulla consapevolezza del contesto permette di adattarsi a questa nuova realtà. Ciò significa rinunciare a un’allocazione statica e corposa in obbligazioni che hanno un’elevata probabilità di generare un rendimento totale negativo al netto dell’inflazione, sposando un approccio più flessibile che sia anche in grado di adattarsi rapidamente. I rischi al rialzo per l’inflazione sono senz’altro aumentati, ma questo non vuol dire che si concretizzeranno. Nessuno può dire con certezza come si evolverà il mondo post-COVID4. L’innovazione tecnologica, l’uscita dei baby boomer dalla forza lavoro e il livello estremamente elevato del debito pubblico generato dalla spesa sostenuta per combattere la pandemia potrebbero facilmente concorrere a una diminuzione dei tassi d’interesse. Le nostre soluzioni flessibili mirano a contemperare questi rischi adottando un approccio attivo e diversificato alla gestione dell’esposizione obbligazionaria.

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