Jonathan Gregory
Head of UK Fixed Income di UBS Asset Management

Cancellazione del rumore: sintonizzarsi sui segnali dei tassi di interesse

Quando si lavora in un ufficio affollato, già solo concentrarsi sul compito da svolgere è una sfida. Molti trovano il Sacro Graal attingendo alle cosiddette onde alfa dell'attività cerebrale, capaci di migliorare la calma, la concentrazione e la creatività.

Il mio approccio preferito è ascoltare la musica del compositore e pianista Philip Glass. Il suo stile minimalista, stratificato e ripetitivo è immediatamente riconoscibile come punto fermo delle colonne sonore per il cinema e la televisione degli ultimi decenni. Ma nel mio caso, a funzionare sono in particolare i suoi Études per pianoforte. C'è qualcosa, nella loro progressione lucida, fluida, ripetitiva ma armonica (per alcuni ossessiva), che mi porta a uno stato di flusso come nient'altro. Bond Bites lo scrivo quasi sempre con questa musica di sottofondo: lo strano e inquietante n. 5, l'iperenergizzato n. 6, la quasi ninna nanna del n. 14, il ricco sinfonico n. 17 e il puro romanticismo del n. 20.1 Ma visto che le onde alfa sono associate anche alla sonnolenza e ad alcuni stati di sonno, oltre che alla creatività, forse vi chiederete quanto possa essere produttivo in quei momenti. Be’, speriamo che il mio capo non legga l'edizione di questo mese.

In realtà penso di non essere l'unico al mondo a riconoscere che oggi la sfida più grande, per chi vuole raggiungere lo stato di flusso, sia l'ambiente stesso dell'ufficio post-pandemico, dove la parola d’ordine è "più persone, meno spazio". Se mi guardo intorno, vedo infatti che l'abbigliamento da lavoro essenziale, per l'ufficio post-COVID, prevede ormai ovunque le cuffie che cancellano il rumore.

Dopo la recente riorganizzazione del nostro l'ufficio, mi ritrovo a stretto contatto con i miei brillanti colleghi della funzione Rischio. Forse immaginerete che nelle ultime settimane, con l’insolito fallimento, o esperienza di premorte, di una banca, la flessione del 30% dei rendimenti statunitensi nel tratto a breve, il crollo dell'azionario globale e i tassi delle banche centrali comunque in aumento, siano diventati, legittimamente, più rumorosi del solito. Immaginate bene.

Ma mentre attivo la cancellazione del rumore su questo trionfo della tecnologia del XXI secolo, non posso fare a meno di sognare una scoperta scientifica ancora più importante: gli occhiali con cancellazione del rumore. Distinguere il segnale dal rumore è uno dei grandi dilemmi dell'investitore. Nel caos delle ultime settimane, l’aver scelto tra eventi significativi e degni di intervento e il mero movimento disordinato dei prezzi avrà serie gravi conseguenze per la creazione di valore. Immaginate di essere seduti alla scrivania, di inforcare i vostri occhiali di design Silicon Valley e di vedere spuntare sullo schermo i trade giusti mentre tutto il resto diventa nero.

Segnale o rumore?

È un bel sogno. Ma l'urgenza discordante dell’Étude n. 13 mi fa ritrovare la concentrazione: in tutto questo, cosa è segnale e cosa rumore?

La Banca centrale europea e la Federal Reserve si sono entrambe riunite a marzo, in un contesto di turbolenze nel settore bancario, trovandosi di fronte a una bella sfida: la fissazione del tasso ufficiale per affrontare l'inflazione e la gestione della stabilità finanziaria sono questioni strettamente connesse, per quanto i policymaker cerchino di convincerci che possono affrontarle separatamente.

La sfida si è rivelata particolarmente ardua negli Stati Uniti, dove i recenti dati relativi a occupazione e inflazione hanno probabilmente superato il livello di comfort della Fed. Il 7 marzo il presidente della Federal Reserve Jay Powell aveva infatti indicato come possibile un aumento dei tassi di 50 punti base (pb) per marzo, suggerendo che il livello finale sarebbe stato "probabilmente più alto di quanto previsto in precedenza“.2 Ma il giorno della riunione, il 21 marzo, il tono era completamente cambiato: la Fed ha annunciato che in realtà i tassi potrebbero essere vicini al picco e ha rimosso dalla sua dichiarazione la frase che indicava i "continui aumenti" come necessari per riportare l'inflazione sotto controllo.3

Pochi giorni prima la BCE si era mossa sul filo del rasoio monetario, attuando l'annunciato rialzo di 50 pb ma lasciando cadere la precedente dichiarazione in cui affermava di "continuare ad alzare i tassi in modo significativo a un ritmo costante”, senza peraltro fornire alcuna indicazione sulle sue mosse future.4

Le banche centrali iniziano quindi a preoccuparsi per i danni collaterali che potrebbero derivare all'economia in generale dall’aumento dei tassi resosi già necessario per contenere l'inflazione. L’inflation targeting è in ogni caso una scienza inesatta, soprattutto a causa dei "ritardi lunghi e variabili" dei rialzi dei tassi, per usare il linguaggio delle banche centrali.

Gli ultimi eventi dimostrano che stanno iniziando a comparire alcune crepe. La Silicon Valley Bank è stata travolta dalle perdite mark-to-market sulle obbligazioni a lunga scadenza che ha dovuto vendere per far fronte ai deflussi di depositi. Chissà come mai, a nessuno degli stakeholder in prima linea è venuto in mente di chiedersi cosa sarebbe successo con l'aumento dei rendimenti. A dire il vero, forse è stata solo l'esperienza a mancare, visto che le ultime perdite a doppia cifra dei Treasury statunitensi si sono verificate, be’, mai.

Finora le banche di analoghe dimensioni erano sfuggite al pieno controllo normativo, nonostante queste banche regionali siano fondamentali per il buon funzionamento dell'economia statunitense: secondo l’Economist, rappresentano il 50% di tutti i prestiti commerciali e l'80% dei mutui commerciali.5 Poiché il settore sarà ora sottoposto a uno scrutinio più ufficiale, che dovrà fare i conti con la sua natura di importanza sistemica, si assisterà a un inevitabile irrigidimento degli standard commerciali e delle condizioni di prestito potenzialmente in grado di danneggiare l'economia.

Attenzione a ciò che ascoltate

In altre parole, potremmo avere appena sentito la spaccatura iniziale di una più ampia contrazione del credito. Sebbene indubbiamente gravoso per alcuni settori, questo potrebbe di per sé frenare la crescita e far scendere l'inflazione più rapidamente del previsto, come ha sottolineato anche la Fed.

La Federal Reserve ha già aumentato i tassi di quasi il 5% in un anno, la BCE del 3,5%. Ci vuole tempo perché il pieno impatto di queste mosse si diffonda in tutte le crepe del sistema finanziario. I policymaker dovranno tenere più in considerazione queste situazioni di crescenti difficoltà e tensioni, anche se l'inflazione rimarrà ostinatamente al di sopra dell'obiettivo. Ed è proprio quello che ci è stato appena detto nelle riunioni di marzo. D’ora in avanti dovremmo aspettarci un approccio più cauto.

Non dimentichiamoci poi che a livello mondiale ci sono già stati problemi durante questo ciclo: lo scorso settembre il settore pensionistico britannico è stato quasi travolto da un'inattesa impennata dei rendimenti obbligazionari e della volatilità, e adesso il settore bancario regionale statunitense sta evidenziando rischi sistemici che traggono origine dalla stessa causa. Semi-catastrofi che quasi nessuno ha previsto. L'insorgere di queste tensioni nel settore finanziario è la diretta conseguenza dell'aumento dei tassi. Per quanto sia improbabile che i problemi sistemici siano gravi come quelli della grande crisi finanziaria, il segnale emerso dalle riunioni delle banche centrali di marzo è semplicemente che siamo arrivati al picco dei tassi ufficiali, o ci siamo molto vicini.

E il rumore? È difficile dirlo con certezza, ma nonostante la recente instabilità dei mercati finanziari, per quest’anno non dovrebbero essere previsti tagli dei tassi, a meno che la situazione non peggiori sensibilmente e in tempi molto rapidi. Mentre scrivo, i mercati obbligazionari hanno già scontato l'aspettativa di una riduzione di 50 pb dei tassi della Fed entro la fine dell'anno. Questa non sembra la giusta conclusione da trarre. Pur avendo sottolineato i rischi del settore finanziario il mese scorso, la Fed ha confermato la sua proiezione del tasso mediano del 5,1% per l'anno in corso (per inciso, più o meno dove si trova attualmente il tasso, un ulteriore segnale che potremmo essere vicini al picco).6

Aspettarsi tagli dei tassi quest'anno sembra quindi troppo azzardato sulla base di quanto sappiamo ora. La situazione nel Regno Unito evidenzia bene il dilemma: sia l'inflazione complessiva che quella di fondo sono aumentate inaspettatamente a febbraio (Grafico 2), persino dopo che i tassi sono saliti quasi del 4,25% in poco più di un anno (l'inflazione complessiva è addirittura tornata alla doppia cifra). Nel frattempo, la crescita del Regno Unito rimane ostinatamente debole e il settore finanziario è stato colpito a marzo dalle stesse onde d'urto che hanno interessato tutti gli altri, senza contare le vulnerabilità precedentemente nascoste che sono state brutalmente rivelate lo scorso settembre. Cosa deve fare la Banca d'Inghilterra? Procedere con cautela, si spera.

Figura 1: Inflazione CPI del Regno Unito su base annua, contributo per settore

Indice CPI del Regno Unito su base trimestrale: il grafico a linee confronta l'indice CPI del Regno Unito nel decennio 2010-2019, proiettandosi fino al 2022

Inflazione CPI del Regno Unito su base annua, contributo per settore. Il grafico traccia l'inflazione per singolo settore di consumo negli ultimi tre anni. Alimentari e alloggio sono stati i maggiori responsabili dell'aumento dell’Indice dei prezzi al consumo dal 2022.

Figura 2: PIL reale del Regno Unito su base trimestrale

CPI a/a del Regno Unito: contributo per settore. Il grafico riporta l'inflazione per singolo settore di consumo negli ultimi tre anni.

PIL reale del Regno Unito su base trimestrale. Il grafico a linee mette a confronto l'indice del PIL reale del Regno Unito con il trend 2010-2019 e l'estrapolazione fino al 2022 per dimostrare che il PIL effettivo nel 2020-2022 si è allontanato molto dal trend.

Tutti questi eventi si sono verificati durante il nostro recente Fixed Income Investment Forum trimestrale. La conclusione, per la nostra strategia globale, è stata quella di ridurre l’esposizione obbligazionaria (ossia tagliare la duration), dato che i rendimenti obbligazionari sono scesi (i prezzi sono saliti) e i mercati hanno scontato tagli dei tassi nel 2023 che a noi sembravano improbabili. Tuttavia, il chiaro aumento della frequenza degli shock al sistema finanziario sembra essere un segnale che siamo vicini al picco dei tassi ufficiali nell'Eurozona e negli Stati Uniti. Un ulteriore inasprimento ben oltre questo punto rischia di causare un atterraggio molto più duro di quello che la maggior parte dei policymaker è pronta ad accettare. Questo dovrebbe di per sé limitare l'ulteriore ribasso delle obbligazioni.

Certo, la gamma dei possibili esiti sembra ora più ampia rispetto anche solo a qualche settimana fa, quindi rimarremo all’erta e flessibili di fronte a un mondo molto complicato (e pieno di rumore). La situazione attuale accresce inoltre i rischi che ho evidenziato il mese scorso, ossia che i rialzi dei tassi necessari per riportare l'inflazione al target scatenino una serie inaccettabile di danni collaterali. Nel qual caso, il dibattito potrebbe spostarsi da "come riportare l'inflazione all'obiettivo" a "come portare l'obiettivo all'inflazione", un contesto complessivamente più pericoloso per i detentori di obbligazioni.

Nell'Étude per pianoforte n. 20, i silenzi contribuiscono alla bellezza della musica tanto quanto la melodia. Da qui in avanti, le cose che le banche centrali non possono vedere (una debolezza inimmaginata del sistema finanziario) saranno importanti per definire le politiche quanto quelle che possono vedere (l'ultimo dato sull'inflazione). I rialzi dei tassi saranno avventati se non ci sarà la certezza che i mercati finanziari si siano stabilizzati.

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