Jonathan Gregory

Giocare a golf è pericoloso? Qui nelle Isole Britanniche probabilmente no, visto che l’ipotermia è il rischio più serio che corrono i giocatori – persino d’estate, a giudicare da com’è andata quest’anno. Altrove, però, le cose cambiano. Confinato su queste sponde per un’altra estate, la mia mente insegue il ricordo dei momenti di libertà trascorsi lungo la costa del Golfo della Florida, dove il rischio non era solo quello di scottarsi al sole: andare alla ricerca di un tee-shot scagliato nell’erba alta intorno alla laguna implica una minaccia ben più grande, quella dei coccodrilli. Di sicuro aiuta a focalizzare la mente, se non la precisione del tiro.

Mentre mi inoltravo nervosamente nell’erba alta, facendomi strada con la mazza più lunga nella sacca per trovare la pallina (o eventuali fauci nascoste), mia moglie, ferma molto più avanti vicino alla sua pallina in mezzo al fairway, mi gridava consigli. Il concetto era che siccome un coccodrillo affamato è in grado di reagire e di correre molto più velocemente sulle brevi distanze, nel caso di un incontro fortuito sarei dovuto scappare a zig zag. Credo che l’idea fosse che per un animale basso, con una zampa ad ogni angolo del corpo, è difficile cambiare improvvisamente direzione, quindi io avrei potuto mettere in atto la mia fuga (a costo di perdere il colpo, secondo la signora G).

Non convinto delle mie chance contro un alligatore, in quell’occasione ho preferito dichiarare subito la palla persa e non sono mai arrivato a verificare la teoria dello zig zag, ma spesso mi sono chiesto quanto fosse assennata. Bloccato in casa nell’afa di agosto, ho avuto quindi la possibilità di fare un’attenta ricerca. È bastato qualche attimo online e subito dailyhomesafety.com mi ha detto molto chiaramente (e a grandi lettere per maggiore enfasi): “Attenzione: se ti insegue un coccodrillo, corri sempre in linea retta – più veloce che puoi. Se corri a zig zag aumenti il rischio di farti prendere”. Ed ecco che internet ha sfatato un altro mito urbano.1

Certi miti sono più duri a morire

Purtroppo, per sfatare alcuni miti è necessario un intervento più gravoso e distruttivo. A novembre 2008, Sua Maestà la regina fece visita alla London School of Economics per inaugurare un nuovo edificio. Per gli economisti di professione non era un buon momento, essendo trascorse solo alcune settimane dal fallimento di Lehman e dal salvataggio di RBS e Lloyds Bank ad opera del governo britannico. Durante un incontro sulla catena di eventi calamitosi che aveva condotto sull’orlo della rovina il sistema finanziario globale, alla regina sorse spontanea una domanda: “Se queste situazioni erano così evidenti, come mai nessuno se n’è accorto?”2 Appunto.

Qualche mese dopo, un nutrito gruppo di importanti accademici, politici, membri della Bank of England, giornalisti finanziari ed economisti di banche di investimento raccolse la sfida e cercò di dare una risposta a questa domanda scrivendo una lettera aperta alla regina.3 Difficilmente si può considerare definitivo un qualsiasi tentativo di riconoscere, in appena due pagine e mezzo, tutti i pericoli nascosti nell’erba alta lungo il percorso verso la Grande crisi finanziaria, ma con uno sforzo onesto e dignitoso gli autori della lettera hanno comunque fatto luce su quattro aree:

  • L’eccesso di risparmio globale, da loro così chiamato, e i rendimenti estremamente bassi sugli investimenti a lungo termine più sicuri che hanno indotto molti investitori a cercare rendimenti più elevati a costo di maggiori rischi
  • L’inflazione rimasta a bassi livelli che non ha inviato alcun segnale di surriscaldamento dell’economia
  • L’incapacità collettiva di vedere una serie di squilibri interconnessi sui quali nessuna singola autorità aveva giurisdizione, associata alla psicologia del gregge e ai mantra dei guru finanziari e politici
  • E infine la crisi come conseguenza del fatto che l’immaginazione collettiva di molte persone brillanti (secondo le loro parole), in tutto il mondo, non sia riuscita a comprendere i rischi per il sistema nel suo complesso

Ecco quindi che Sua Maestà, forse inavvertitamente, ha contribuito a sfatare pubblicamente più miti in una sola volta

2Secondo il racconto del professor Luis Garicano, direttore della ricerca presso la LSE, il quale rispose “In ogni fase, qualcuno faceva affidamento su qualcun altro e tutti pensavano che costoro stessero facendo la cosa giusta”. https://www.telegraph.co.uk/news/uknews/theroyalfamily/3386353/The-Queen-asks-why-no-one-saw-the-credit-crunch-coming.html

3Anche se sono trascorsi più di dieci anni vale sempre la pena leggere questo articolo, rilevante ancora oggi: https://www.ma.imperial.ac.uk/~bin06/M3A22/queen-lse.pdf

E alcuni miti sopravvivono

La lettera riuscì senz’altro ad annientare alcuni miti legati alla definizione delle politiche (e dei mercati efficienti) venuti alla luce nel 2008, ma analizzando lo scenario d’investimento attuale non si può fare a meno di chiedersi se altri miti non si siano dimostrati, invece, più longevi. Se è vero che la storia non si ripete, ma fa rima con se stessa, alcuni aspetti del mondo di oggi devono sembrare stranamente familiari agli investitori che hanno vissuto quella crisi.

Un’importante lezione dell’epoca è che la stabilità dei prezzi perseguita dalle banche centrali non generò, di per sé, stabilità finanziaria – un periodo di inflazione molto bassa e stabile non portò a una nuova era di prosperità finanziaria. Per quanto paradossale possa sembrare, in effetti un lungo periodo di stabilità macroeconomica ed esuberanza dei prezzi delle attività finanziarie e dei mercati del credito contribuì ad alimentare l’instabilità del sistema finanziario.

Oggi molte banche centrali nel mondo promuovono addirittura un maggiore attivismo nei confronti della stabilità dei prezzi (i loro obiettivi di inflazione) rispetto al periodo che portò alla Grande crisi finanziaria – il Grafico 1 mostra fino a che punto sono aumentati i bilanci delle banche centrali, che rappresentano una buona approssimazione dell’offerta di denaro. Questo trend ha subito un’accelerazione durante la pandemia globale quando le banche centrali, giustamente, hanno fornito un sostegno vitale alle economie in lockdown. Ma il punto è questo: se il ciclo finanziario è fortemente influenzato dalla politica monetaria, allora questa influenza è di gran lunga superiore oggi rispetto a prima della Grande crisi finanziaria. Sarebbe estremamente pericoloso pensare che la politica monetaria molto accomodante di oggi non possa provocare estesi shock macroeconomici in futuro.

Grafico 1: Attività totali delle banche centrali4 (% del PIL nominale5)

Il Grafico uno mostra l’imponente crescita delle attività totali registrata da Federal Reserve statunitense, Banca Centrale Europea, Bank of Japan e Bank of England in percentuale sul PIL nominale tra il 2007 e aprile 2021. Si evidenzia fino a che punto sono aumentati i bilanci delle banche centrali, che rappresentano una buona approssimazione dell’offerta di denaro.

Sono convinto che le banche centrali siano pienamente consapevoli di questi rischi e che, ai fini delle loro scelte politiche, tengano ben presenti gli effetti collaterali negativi della politica monetaria non convenzionale sulla stabilità finanziaria (e sulle diseguaglianze). Solo che, in un mondo di inflazione inferiore al target e tassi ufficiali a zero, affermare che “non ci sono alternative” significa che le banche centrali (e di conseguenza tutti noi) stanno camminando sul filo del rasoio. A volte, il problema è semplicemente non sapere quando fermarsi.

Dopo tutto, come mostra il Grafico 2, l’eccesso di risparmio globale, dove i risparmi del settore privato superano gli investimenti desiderati, e quindi spingono molto in basso i tassi di interesse, è un dato di fatto. È stato uno dei principali motivi della progressiva diminuzione dei tassi di crescita reali a livello mondiale negli ultimi 30 anni. Ho già fatto riferimento nei mesi scorsi alla Tabella 1 per chiarire lo stesso punto, ovvero che in base ai dati dell’FMI i tassi di crescita medi previsti per il periodo 2020-2026 saranno inferiori a ciascuno dei quattro decenni precedenti. 6Chiaramente, secondo la visione dell’FMI, le economie sviluppate dovranno affrontare le sfide poste dal basso livello della domanda aggregata per molti anni a venire.

Grafico 2: Rendimenti reali a 10 anni di Stati Uniti, Regno Unito e Germania

Il grafico due mostra il calo dei rendimenti reali a 10 anni di Stati Uniti, Regno Unito e Germania tra il 2000 e il 2021.

Tabella 1: Tassi di crescita reali annui del PIL (media)

La Tabella 1 mostra i tassi di crescita medi del PIL per Stati Uniti, Canada, Australia, Germania, Francia, Italia e Regno Unito tra il 1980 e il 2019 e le previsioni di crescita dell’FMI per questi Paesi fino al 2026. La tabella indica che la crescita nei prossimi cinque anni sarà probabilmente inferiore rispetto a ciascuno dei quattro decenni precedenti. Persino negli Stati Uniti, nonostante l’enorme stimolo fornito dalla banca centrale, la crescita non dovrebbe superare in media l’1,79%, rimanendo ben al di sotto dei livelli registrati alla fine degli anni 90. Chiaramente, secondo la visione dell’FMI, le economie sviluppate dovranno affrontare le sfide poste dal basso livello della domanda aggregata per molti anni a venire.

E il Grafico 3 evidenzia proprio come i grandi squilibri siano ancora un fattore rilevante per l’economia globale. Il debito rimane a livelli record non solo in termini assoluti ma anche, e soprattutto, relativamente alla produzione.

Grafico 3: Indebitamento globale (USD) in percentuale sul PIL

Il Grafico 3 mostra la crescita del debito globale, in dollari USA e in percentuale sul PIL, tra gli anni 2014 e 2021. Si evidenzia che il debito ha raggiunto livelli record non solo in termini assoluti, ma anche relativamente alla produzione.

Giocare la palla come si trova...

In sintesi dobbiamo quindi imparare a convivere con una politica monetaria espansiva e un’attenzione incessante alla stabilità dei prezzi che potrebbe in effetti contribuire al rischio sistemico: tassi di crescita reali molto bassi, e relativi rendimenti, che portano gli investitori ad avventurarsi lungo la curva del rischio e squilibri globali che sotto certi aspetti sono più ampi rispetto al 2008 e ancora irrisolti.

A dire il vero, non tutte le palline piazzate dal 2008 rimangono ancora pericolosamente nascoste nell’erba alta: alcune stazionano orgogliosamente lungo il fairway e grandi passi sono stati compiuti per ridurre alcuni rischi. Per le banche questo significa livelli di solvibilità più elevati, buffer di capitale anticiclici, verifiche sulla liquidità e stress test per migliorare la resilienza. Il clearing centralizzato e una migliore rendicontazione hanno contribuito a ridurre i rischi in alcuni mercati dei derivati.

Ma l’innovazione continua comporta sempre nuovi rischi e complessità. Le banche centrali e i regolatori che hanno voluto queste riforme non avevano forse neanche immaginato gli ETF sulle criptovalute, i titoli-meme, il trading algoritmico ad alta frequenza, il trading giornaliero per la fabbricazione di armi e le SPAC7 del futuro. Sappiamo che i mercati non sono sempre in equilibrio o efficienti, ma possono essere opachi e interconnessi in modi non del tutto immaginati da regolatori, decisori politici e investitori. Una leva finanziaria elevata, disallineamenti nel funding, strutture di funding complesse e opache e passività fuori bilancio creano problemi per la valutazione dell’efficienza del mercato.

...ma con una mazza nuova

Forse c’è un problema ancora più fondamentale. Immagino che molti, negli Stati Uniti, nel Regno Unito o in Europa, descriverebbero le proprie economie come capitalistiche, o economie di mercato, nelle quali la definizione dei prezzi e gli investimenti fluiscono dalle interazioni tra privati cittadini e imprese finalizzate a creare profitto. Mi chiedo solo quanto possa essere ancora valida questa descrizione in un mondo dove i bilanci combinati delle maggiori banche centrali ammontano in totale a 25.000 miliardi di dollari8 e i mercati obbligazionari sono normalmente usati come strumento di politica monetaria. E dove prezzi e rendimenti non sono più definiti da un mercato liquido a libera negoziazione basato sui fondamentali,9 dove alcune economie sono così prossime alla deflazione che un’espansione monetaria aggressiva rappresenta l’unica risposta e dove le cattive notizie sull’economia possono risollevare i mercati in previsione di un ulteriore allentamento da parte della banca centrale.

Considerata la natura profonda e strutturale di queste sfide, potrebbe essere addirittura in atto un processo di ripensamento dell’effettivo significato di capitalismo.

Non voglio dire che questi interventi siano sbagliati, tutt’altro – la risposta fornita alla Grande crisi finanziaria e alla pandemia è stata in buona parte cruciale – è solo che, considerata la natura profonda e strutturale di queste sfide, potrebbe essere addirittura in atto un processo di ripensamento dell’effettivo significato di capitalismo. E magari si può scegliere una mazza diversa dalla solita se adesso il colpo deve superare una grande palude infestata dai coccodrilli per raggiungere il fairway.

Visto che il post è già lungo devo lasciare questa domanda per un altro giorno. Ovviamente identificare tali rischi e scriverne qui è una cosa (quella facile), mentre sapere quando e in quale forma si manifesteranno è tutt’altra cosa. Per il momento, suggerisco semplicemente di attenersi ad alcuni approcci sempre validi: diversificazione, evitare cose eccessivamente complesse e “scatole nere”, diffidare della leva nelle posizioni illiquide, sottoporre i portafogli a stress test e fare attenzione al contesto che cambia – muovendosi in linea retta, non a zig zag.

I miei colleghi di Investment Solutions hanno pubblicato di recente le loro “Prospettive di mercato su un orizzonte a cinque anni”, documento che consiglio sempre di leggere e che analizza indirettamente le conseguenze di tali questioni sui prezzi delle attività finanziarie.

Di sicuro non posso biasimarli per averlo intitolato “Nessun posto dove nascondersi”. Quei denti, ah quei denti...

Le performance passate non sono un indicatore affidabile dei risultati futuri

Potrebbe interessarti anche

Contattaci

Compila il modulo di richiesta e lascia i tuoi dati per essere ricontattato.

Presentazione del nostro team di leadership

Incontra i membri del team responsabile della direzione strategica di UBS Asset Management.

Trova i nostri uffici

Siamo più vicini di quanto pensi, scoprilo qui