Se si guarda in alto nel cielo, di notte, lo spazio tra le stelle e i pianeti sembra completamente buio. Ma se si osserva quello stesso cielo attraverso un radiotelescopio si noterà, invece, la presenza di un lieve e diffuso bagliore di fondo. Ciò che appare è in realtà un debole fondo di radioattività naturale, la cosiddetta radiazione cosmica di fondo (CMBO o Cosmic Microwave Background), che permea l’Universo ed è osservabile ovunque sulla Terra. La scoperta di questa radiazione elettromagnetica residua, nel 1964, è stata considerata una prova cruciale della creazione dell’Universo secondo la “teoria del Big Bang”. La stessa teoria del Big Bang è stata parzialmente desunta dalla scoperta che più le galassie sono lontane, più velocemente si allontanano dalla Terra. Procedendo idealmente a ritroso nel tempo, questa espansione cosmica avrebbe generato un Universo primordiale, denso e caldo, fonte plausibile della radiazione cosmica di fondo.

Proprio come la teoria del Big Bang è un’ipotesi credibile della nascita dell’Universo, il “Big Crunch” è la visione simmetrica del suo destino ultimo. A causa della sua stessa densità, l’Universo alla fine smetterà di espandersi ed inizierà a contrarsi fino a collassare su se stesso, ritornando ad una “singolarità” adimensionale in cui lo spazio e il tempo non hanno più significato1.

Con i dovuti distinguo, nel bene e nel male, anche i mercati attraversano fasi di “Big Bang” e “Big Crunch” che hanno un impatto profondo sui rendimenti degli asset. Investire con profitto dipende, in parte, dalla capacità di formarsi opinioni plausibili sugli sviluppi futuri, basandosi su dati osservabili oggi.

Quel che è certo è che non ci manca la galassia di debiti in espansione sulla quale sviluppare ipotesi plausibili. Il Grafico 1 illustra che, globalmente, i livelli di debito hanno toccato un picco record da 258mila miliardi (ossia il 331% del PIL mondiale) nel 1° trimestre del 2020.

Grafico 1: il debito globale dal 2011 al 2020

Grafico 1: il debito globale dal 2011 al 2020

Chiaramente la pandemia di COVID-19 e la rapida risposta fiscale hanno avuto grossi effetti, per cui tutti i dati successivi mostrano che da allora il ritmo ha accelerato. Tuttavia, il grafico rivela che il trend era già in atto. I livelli di debito hanno continuato a salire sempre di più nel corso del tempo. È anche evidente che il debito totale sta salendo ad un tasso più rapido rispetto alla crescita globale, dunque la leva complessiva (in questo caso, il debito rispetto all’output globale) sta aumentando. Da tempo ormai, aggiungere debito all’economia globale non mostra di avere un evidente vantaggio per il tasso di crescita nel suo complesso.

In parte la ragione è semplicemente che, a parità di condizioni, più debito significa più spesa per ripagarlo, fenomeno che già in sé può trascinare la crescita. Di certo una leva sistemica complessivamente più alta è uno dei fattori alla base dell’esigenza di mantenere i tassi bassi. Il Grafico 2 illustra il percorso del tasso obiettivo della Federal Reserve USA nel corso del tempo. Da notare che, con l’aumento dei livelli di debito globali, non solo il trend complessivo è nettamente diminuito ma ogni picco dei tassi è inferiore all’ultimo.

Grafico 2: tasso obiettivo dei Fed Fund dal 1984 al 2020

Grafico 2: tasso obiettivo dei Fed Fund dal 1984 al 2020

I tassi sono la “radiazione di fondo” che permea il pricing di ogni asset class. Di conseguenza, esattamente gli stessi effetti sono osservabili nei rendimenti dei mercati obbligazionari in senso più ampio. Il Grafico 3 illustra il rendimento del Global Aggregate Bond Index (un universo obbligazionario globale ampio replicato da molti investitori) che venti anni fa ha reso quasi il 5,6% ma che all’inizio del mese di agosto di quest’anno ha raggiunto un minimo record attestandosi a solo lo 0,8%.

Questo calo riveste implicazioni molto importanti per i rendimenti futuri. Tra il 2000 e la fine del luglio 2020, il Global Aggregate Bond Index ha prodotto un rendimento totale medio annuo del 4,6%2. Quasi l’85% di questo rendimento proveniva da reddito (si ricordi che il rendimento iniziale era di circa il 5,6%). Ripensiamo ancora a quel rendimento che oggi si attesta allo 0,8% sull’universo obbligazionario. Appare evidente come le prospettive di rendimento dell’universo obbligazionario nei prossimi vent’anni siano decisamente meno rosee rispetto ai passati venti.

Grafico 3: rendimento obbligazionario globale in aggregato dal 2000 al 2020

Grafico 3: rendimento obbligazionario globale in aggregato dal 2000 al 2020

Ciò detto, sembra estremamente improbabile che il trend dei rendimenti subisca presto un’inversione. Come scritto di recente in precedenti pubblicazioni della serie “Bond Bites”, molti governi hanno bisogno che i tassi restino bassi per non erodere l’impatto positivo della massiccia espansione fiscale; e le banche centrali sono più che desiderose di cooperare tramite l’acquisto di attivi e tassi d’interesse fermi su livelli più che contenuti. Il punto essenziale per gli investitori obbligazionari oggi è che, anche se i rendimenti del mercato in generale saranno complessivamente inferiori rispetto al passato, diversi settori del mercato offriranno caratteristiche di rischio-rendimento diverse nel corso del tempo. Dunque, la diminuzione del potenziale rendimento di un’allocazione passiva sul mercato in senso ampio dovrebbe allertare gli investitori circa la necessità di stili attivi che abbraccino la gamma di opportunità più vasta possibile.

Potrebbe finire nel “Big Crunch”: la crescita oggi molto bassa, ma associata a un aumento del ricorso ai prestiti, si potrebbe concludere in una spirale di deflazione del debito. La bassa inflazione o anche la deflazione comportano costi reali elevati per ripagare il debito, provocando il default di aziende e consumatori su prestiti e mutui diventati troppo vasti per essere gestiti. Ciò a sua volta esercita pressioni sul settore bancario, generando una minore concessione di prestiti e una maggiore insolvenza, in una spirale ribassista. In un simile contesto, probabilmente la liquidità e i titoli sovrani di alta qualità sovraperformerebbero il credito.

D’altro canto, una costante espansione della spesa dei governi potrebbe comportare un “Big Bang” dell’inflazione, in grado di distruggere il valore del debito in termini reali ma di frantumare contemporaneamente anche il valore dei risparmi. Questo scenario è improbabile, almeno per il prossimo anno circa, durante il quale predomineranno gli effetti deflazionistici del COVID-19. Il rischio aumenterà se, nelle economie in cui una spesa fiscale massiccia crea domanda in eccesso, si dovessero presentare dei limiti di capacità che alla fine costringerebbero i prezzi al rialzo. I titoli protetti dall’inflazione, in questo caso, potrebbero fare relativamente bene.

In alternativa, potrebbe verificarsi lo “stato stazionario” preferito dai politici. In tal caso, i trend degli ultimi trent’anni potrebbero invertirsi; i tassi di crescita globale eccederebbero il tasso di espansione del debito globale, i tassi di crescita reale accelererebbero e l’inflazione salirebbe – ma non troppo. Si tratta di uno scenario assolutamente possibile ma che segnerebbe una battuta d’arresto in alcuni trend molto ben consolidati. Ciò detto, le obbligazioni del credito e dei mercati emergenti ne uscirebbero presumibilmente vincenti.

Per quanto epocale, le nostre migliori stime per la fine dell’Universo collocano questo evento ancora a miliardi di anni di distanza. La fine del mercato toro per i titoli obbligazionari, invece, è probabilmente piuttosto vicina, anche se oggi il trend sembra durare in eterno. Esattamente come e quando ciò avverrà è ancora estremamente incerto. Gli investitori dovrebbero quindi valutare ora criticamente le loro partecipazioni obbligazionarie per assicurarsi di disporre della diversificazione e della flessibilità necessarie a prosperare in quello che sarà un mondo molto impegnativo!

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