In una prospettiva macroeconomica, una cosa sembra certa: nelle maggiori economie sviluppate la politica monetaria è ormai prossima a chiudere il suo corso. Il fatto che le aspettative di crescita e inflazione espresse dai rendimenti governativi in tutto il mondo sviluppato rimangano così sottotono, nonostante il periodo assai prolungato di tassi bassi e quantitative easing, la dice lunga sull’efficacia sempre più ridotta delle politiche monetarie adottate a seguito della crisi finanziaria.

Un cambiamento nel mix di politiche ci sembra necessario e inevitabile, oltre a un nuovo paradigma di spesa pubblica da affiancare alla politica monetaria. Una maggiore spesa fiscale finanziata con tasse e indebitamento probabilmente toccherà anche tematiche molto sentite come le disuguaglianze sociali, gli investimenti insufficienti nelle infrastrutture e i servizi pubblici sottofinanziati, pertanto sarà difficile che i funzionari eletti nelle grandi economie sviluppate ignorino l’invito ad aumentare la spesa fiscale nel corso degli anni '20.

Questa evoluzione del mix di politiche potrebbe avere importanti implicazioni per i mercati dei capitali. Il contesto generale di rischio e rendimento evolverà probabilmente in qualcosa di nettamente diverso dallo scenario di bassa volatilità, forte correlazione negativa tra azioni e obbligazioni ed elevati rendimenti degli asset rischiosi che ha favorito gli investitori per buona parte degli ultimi dieci anni.

Il livello di partenza delle valutazioni e le prospettive di una maggiore volatilità suggeriscono infatti che negli anni '20 i rendimenti risk-adjusted saranno decisamente più contenuti per quasi tutte le principali asset class tradizionali. Alla luce dei rendimenti molto bassi o negativi offerti dai principali mercati governativi, questa prospettiva vale in particolare nel reddito fisso: per gli investitori “buy and hold” in titoli di Stato dei Paesi sviluppati si prospetta effettivamente la possibilità di ritorni negativi.

Come devono posizionarsi gli investitori multi asset? In questo Macro Quarterly di fine decennio illustriamo il nostro punto di vista sull’orientamento delle politiche negli anni 20 e le relative implicazioni per i mercati e per l’asset allocation strategica ottimale dei portafogli multi asset.

Se non sai da dove vieni, non sai dove stai andando.
Maya Angelou.

“Comprare tutto”: è stato questo il mantra degli anni Dieci

Per comprendere i possibili sviluppi del quadro macroeconomico e dei mercati dei capitali nel prossimo decennio è opportuno tenere presente qual è il punto di partenza, e in particolare il carattere straordinario dei dieci anni appena trascorsi.

Figura 1: rendimenti delle asset class dal 2000 al 2010

rendimenti delle asset class dal 2000 al 2010
Fonte: UBS Asset Management, Macrobond a dicembre 2019. Valuta locale

Dopo gli anni 2000, un decennio che si è concluso con il crollo delle dot-com e la crisi finanziaria del 2008-2009, i rendimenti elevati (con l’eccezione delle materie prime) e la bassa volatilità sono stati le caratteristiche distintive degli anni 10 nelle diverse asset class, sullo sfondo di un consensus sempre più ampio sui tassi “più bassi più a lungo”.

Figura 2: i rendimenti risk-adjusted erano più alti nella prima decade del 2000

Principali classi di attività a 10 anni Sharp Ratio vs. la storia

i rendimenti risk-adjusted erano più alti nella prima decade del 2000
Fonte: UBS Asset Management, Refinitiv, a dicembre 2019. Dati storici da dic 1989 (US equities, US bonds, US high yield, global equities), gen 1992 (EM debt ), gen 1993 (US inv Grade, Global Bonds)

La causa principale della reflazione degli asset finanziari è stata, ovviamente, la politica monetaria. In effetti, dopo la crisi finanziaria del 2008-2009, uno degli obiettivi espliciti della politica monetaria era proprio quello di rilanciare l’economia statunitense attraverso l’effetto di ribilanciamento dei portafogli. Ma anche quando l’impatto dei bassi tassi di riferimento e dell’allentamento quantitativo sull’economia reale è diminuito, gli stimoli forniti dalla politica monetaria e dalla forward guidance delle banche centrali hanno sostenuto i prezzi degli attivi, comprimendo la volatilità.

Figura 3: le azioni statunitensi hanno sovraperformato nei primi 10 anni del 2000

le azioni statunitensi hanno sovraperformato nei primi 10 anni del 2000
Fonte: UBS Asset Management, Macrobond a dicembre 2019.

La combinazione di rendimenti elevati, bassa volatilità e correlazione negativa tra azioni e titoli governativi dei Paesi sviluppati ha chiaramente sostenuto il potenziale di rendimenti risk-adjusted dei portafogli multi asset.

Queste stesse forze hanno innescato il passaggio dalla gestione attiva a quella passiva – un elemento chiave degli anni 10 – in quanto l’importanza dell’approccio attivo è diminuita a causa dell’elevata componente di beta nei rendimenti.

Figura 4: i tassi in crescita hanno beneficiato in modo sproporzionato dei bassi tassi negli scorsi 10 anni

i tassi in crescita hanno beneficiato in modo sproporzionato dei bassi tassi negli scorsi 10 anni.
Fonte: UBS Asset Management, Macrobond a dicembre 2019.

A livello più granulare, anche l’acquisto di asset americani (e, di conseguenza, di azioni “growth” rispetto ai titoli “value”, in un contesto dove i tassi bassi hanno avuto benefici nettamente superiori sulle valutazioni dei flussi di cassa a più lungo termine del segmento “growth”) ha rappresentato una caratteristica distintiva degli anni Dieci.

Ma il tema più persistente degli ultimi vent’anni – o meglio degli ultimi quaranta – è stato il contenimento dell’inflazione e la diminuzione dei rendimenti nominali dei titoli governativi in tutto il mondo sviluppato.

Figura 5: i rendimenti del Tesoro USA a 10 anni sono in calo da 40 anni

i rendimenti del Tesoro USA a 10 anni sono in calo da 40 anni
Fonte: UBS Asset Management, Macrobond a dicembre 2019.

In diverse occasioni abbiamo scritto del calo strutturale della produttività, delle aspettative di inflazione e della crescita demografica, in un contesto di crescita della domanda di reddito legata all’invecchiamento della popolazione e agli eccessi di risparmio, illustrando il ruolo che tutti questi fattori hanno avuto, insieme all’allentamento quantitativo, nel comprimere i rendimenti. Queste forze continueranno a incidere sul tasso di sconto mondiale, ovvero il rendimento dei Treasury USA decennali, anche negli anni 20?

La politica monetaria negli anni Venti

Secondo la nostra view non ci sarà una recessione globale nel 2020. Ma quando infine arriverà la prossima recessione, nel corso del nuovo decennio, probabilmente né la Federal Reserve USA, né le altre maggiori banche centrali avranno sufficiente spazio di manovra per un allentamento dei tassi di riferimento che possa rinvigorire la crescita e l’inflazione.

Nei cicli precedenti, risalendo fino agli anni 50 del secolo scorso, la Fed rispondeva a un crollo della domanda abbassando mediamente di 550 punti base il tasso sui Fed Funds, mentre adesso può tagliare solo altri 175 punti base, avendo dichiarato pubblicamente di essere contraria a scendere sotto lo zero per entrare in territorio negativo.

Figura 6: a corto di spazio? La Fed storicamente ha tagliato 550 punti base nelle recessioni

a corto di spazio? La Fed storicamente ha tagliato 550 punti base nelle recessioni
Fonte: UBS Asset Management, Macrobond a dicembre 2019.

Nell’Eurozona, in Giappone e in Svizzera i tassi di riferimento sono già negativi, di conseguenza nella prossima fase recessiva le banche centrali di questi Paesi non avranno più munizioni per intervenire attraverso il canale dei tassi di riferimento. Si potrebbe ricorrere a una nuova estensione del quantitative easing (QE), ma come nel caso dei tassi di riferimento l’impatto del QE sull’economia reale e sui prezzi degli attivi è diminuito nel tempo. I maggiori banchieri centrali si ritroveranno quindi a gestire la prossima recessione con un toolkit limitato e sempre più inefficace.

Quando infine arriverà la prossima fase recessiva, non crediamo quindi che la politica monetaria, da sola, sarà in grado di svolgere il suo consueto ruolo contro-ciclico. L’onere di fornire i maggiori stimoli alla domanda e all’inflazione ricadrà invece sulla spesa pubblica. I funzionari eletti dovranno quindi affrontare una difficile scelta: avere un’economia stagnante, oppure iniziare a spendere. Dato l’evidente incentivo legato a un possibile vantaggio elettorale, crediamo che i politici più di spicco non esiteranno ad abbracciare il mantra fiscale.

Ma la questione fiscale va ben oltre la semplice convenienza politica. Vi sono infatti forti argomentazioni sociali ed economiche a sostegno di un ruolo assai più rilevante della politica fiscale nel mix di politiche complessivo per gli anni '20. Un’ulteriore spinta in questa direzione proviene inoltre dal basso livello dei costi di finanziamento, che nelle maggiori economie è attualmente inferiore ai tassi di crescita: in linea teorica, i governi possono contrarre prestiti per finanziare gli stimoli fiscali e gestire gli squilibri sociali senza aumentare il disavanzo complessivo netto di bilancio. Siamo comunque consapevoli che qualsiasi moltiplicatore fiscale (ovvero l’effetto positivo sull’economia per ogni dollaro di aumento della spesa pubblica) può ottenere il suo massimo effetto esattamente nel momento di minima efficacia dello stimolo fornito dalla politica monetaria. Forse non siamo ancora arrivati a questo punto, ma non manca molto.

Per quanto le argomentazioni appaiano molto convincenti, vi sono però ancora diversi ostacoli da superare. Il confuso confine tra funzionari eletti e banchieri centrali è tutt’altro che definito e, a prima vista, non sembrano possibili rapidi sviluppi su questo fronte. Parliamo in particolare della Germania, un Paese che ha la possibilità di attuare un significativo stimolo fiscale per rilanciare la crescita, ma dove questa mossa non sembra al momento attuabile in quanto manca la volontà politica per contrastare il requisito del pareggio di bilancio previsto dalla costituzione tedesca.

A volte, però, il contesto politico può cambiare molto velocemente. Nel Regno Unito, in Germania, in Giappone e in altri Paesi stanno aumentando le pressioni affinché i governi contraggano prestiti e aumentino la spesa, lo testimoniano le promesse dei maggiori partiti in vista delle elezioni politiche generali nel Regno Unito. In Giappone, dove il governo sta già cercando di alimentare la crescita attraverso la spesa, nei prossimi mesi saranno resi noti i dettagli di un importante pacchetto fiscale.

Le nostre conclusioni sul tema della spesa pubblica sono più che altro di carattere generale: nell’immediato non assisteremo necessariamente a un forte aumento della spesa fiscale in tutte le maggiori economie, tuttavia la direzione degli sviluppi per il prossimo decennio appare segnata molto chiaramente.

Una politica fiscale più attiva può risollevare i rendimenti

Il passaggio dalla politica monetaria alla politica fiscale potrebbe avere un impatto significativo sui prezzi degli attivi e sulla volatilità. L’aumento degli stimoli monetari negli ultimi dieci anni ha ridotto i tassi di interesse lungo la curva dei rendimenti – direttamente, attraverso il tasso ufficiale sul tratto a breve e tramite il QE lungo la curva, e indirettamente attraverso la forward guidance.

Figura 7: fiscalità maggiore = PIL nominale più alto e rendimenti a 10 anni

fiscalità maggiore = PIL nominale più alto e rendimenti a 10 anni
Fonte: UBS Asset Management, Macrobond a dicembre 2019.

A parità di condizioni, crediamo che un maggiore stimolo fiscale potrebbe far salire i tassi di interesse lungo tutta la curva, dato l’aumentare delle aspettative di crescita e inflazione, e sul tratto a lungo per via della maggiore offerta di debito.

Ma parlando dell’impatto di una maggiore spesa fiscale sulle curve dei rendimenti è fondamentale capire come reagiranno le banche centrali al cambiamento nelle dinamiche complessive che orientano le politiche: continueranno a tenere bassi i tassi di interesse anche a fronte di maggiori aspettative di crescita e inflazione, al fine di irripidire la curva dei rendimenti, avvantaggiare le banche e sovraccaricare l’outlook di crescita, oppure aumenteranno i tassi di interesse, vista l’accelerazione della crescita e dell’inflazione, per avere maggiori possibilità di tagliarli nella prossima fase recessiva?

Stando alla recente retorica, sembra decisamente più probabile che le maggiori banche centrali dei Paesi sviluppati concedano alla crescita e all’inflazione il tempo di “surriscaldarsi” prima di alzare i tassi. Questo è uno dei principali motivi per cui crediamo che nel mondo sviluppato le curve dei rendimenti si irripidiranno nei prossimi anni.

Pur essendo convinti che il ruolo della politica fiscale sia destinato ad aumentare, vi sono altri motivi per credere che l’era dell’inflazione ai minimi stia per concludersi. Nel 2019, l’aspetto determinante per i mercati è stato l’impatto della geopolitica. Il trend a lungo termine della globalizzazione e la rimozione delle barriere al commercio sono le leve che hanno spinto al ribasso i prezzi globali negli ultimi decenni. Ma adesso la recente ascesa del nazionalismo economico, esso stesso una conseguenza di molte delle stesse pressioni che prevediamo causeranno un aumento della spesa fiscale, sta facendo rallentare la globalizzazione.

Figura 8: rischi geopolitici in aumento

Global Economic Policy Uncertainty Index (Pesi del PIL al prezzo corrente)

rischi geopolitici in aumento
Fonte: UBS Asset Management, Macrobond a dicembre 2019.

E come per la spesa fiscale, non prevediamo che le forze all’origine del protezionismo si attenueranno nell’immediato. Per esempio sembra chiaro che il conflitto tra Stati Uniti e Cina non riguardi solo il commercio, bensì anche le ideologie, la superiorità tecnologica, la competizione strategica nelle sfere regionali e i flussi di capitale. Nessuna di tali questioni sarà probabilmente risolta in tempi brevi.

Che cosa significherà tutto questo per l’andamento dei mercati negli anni 20?

Minori rendimenti

A conclusione di un decennio già molto forte, nel 2019 abbiamo visto un rally aggressivo nel reddito fisso, la chiusura degli spread di credito e un rerating delle azioni globali dovuto alla drastica svolta nell’orientamento della politica monetaria. La tesi del “più bassi più a lungo” è tornata alla ribalta.

Crediamo che i rendimenti degli indici saranno probabilmente inferiori nel prossimo decennio per tutte le asset class tradizionali, in particolare nel reddito fisso. Riportiamo di seguito le previsioni di rendimento annualizzato a 10 anni del nostro team di Strategic Asset Allocation per selezionate asset class.

Figura 9: è probabile che i rendimenti siano più bassi tra le asset class negli anni '20, soprattutto nel fixed income

è probabile che i rendimenti siano più bassi tra le asset class negli anni '20, soprattutto nel fixed income
Fonte: UBS Asset Management Investment Solutions, Refinitiv, a Dicembre 2019. Ritorni storici in valuta locale se non diversamente specificato. Previsioni azionarie fatte su base non hedged, fixed incom su base hedged.

Le prospettive di minori rendimenti rispecchiano più che altro il punto di partenza delle valutazioni delle varie asset class rispetto alla media storica, ma per le azioni statunitensi, in particolare, vi sono potenzialmente altre pressioni rispetto al multiplo di valutazione che gli investitori sono disposti a pagare per gli utili delle società americane. Gli abbondanti rendimenti azionari statunitensi dello scorso decennio sono attribuibili solo in minima parte a un’espansione dei multipli PE: nonostante una crescita della domanda USA mediocre, se non stagnante, senza dubbio il maggior contributo ai rendimenti azionari statunitensi è derivato dagli utili, che sono cresciuti a un tasso composto annuo superiore al 12% negli ultimi dieci anni a fronte di una crescita del PIL del 2,5% circa all’anno, secondo i dati forniti da Refinitiv. A nostro parere, una crescita degli utili così forte rispetto alle misure dell’economia reale non può essere sostenibile; la crescita degli utili e della domanda sono inevitabilmente collegate nel lungo periodo. In realtà, il fatto che una quota così ampia del PIL statunitense debba andare agli azionisti, a discapito dei lavoratori, rappresenta una delle argomentazioni sociali a favore di una maggiore spesa fiscale.

In passato, sono state le forze della concorrenza o le norme regolamentari a eliminare gli utili quasi monopolistici. Per gli anni '20 ci aspettiamo che una maggiore regolamentazione o un cambiamento nelle norme fiscali e contabili riducano la redditività delle aziende statunitensi nel tentativo di sanare alcuni forti squilibri.

Figura 10: la redditività delle aziende si espande a discapito della forza lavoro

la redditività delle aziende si espande a discapito della forza lavoro
Fonte: UBS Asset Management, Macrobond a dicembre 2019.

Secondo la nostra view, sono soprattutto le valutazioni delle azioni USA a limitare l’upside potenziale per il prossimo decennio. Il rapporto prezzo/utili, noto indicatore creato dal professor Robert Shiller che in passato ha dimostrato una relazione statisticamente rilevante con i rendimenti dei dieci anni successivi, indica anch’esso un livello inferiore dei rendimenti negli anni 20.

Dopo un prolungato periodo di volatilità molto bassa, per il prossimo decennio ci aspettiamo inoltre che la volatilità complessiva delle asset class aumenti per una serie di motivi, tra i quali i continui rischi geopolitici, il passaggio del testimone, nella narrazione della politica monetaria, dai banchieri centrali non eletti ai politici sensibili alle dinamiche elettorali e il graduale aumento delle aspettative di inflazione e dei rendimenti a più lungo termine legato ai progressivi effetti della politica fiscale.

È quindi su base risk-adjusted che, secondo noi, le valutazioni delle azioni statunitensi appaiono particolarmente eccessive rispetto alla media storica. E dopo un decennio di sovraperformance degli Stati Uniti, dovuta in parte allo stimolo che i tassi bassi hanno fornito alle azioni “growth”, ci aspettiamo quindi che i mercati azionari non statunitensi più orientati al “valore”, quali Europa, Giappone, Cina e mercati emergenti, possano evidenziare una crescita relativa in linea con l’aumento dei rendimenti.

Maggiore correlazione tra azioni e obbligazioni

Cosa possono fare, quindi, gli investitori privati e istituzionali per realizzare i propri obiettivi di rendimento in questo scenario? Se i rendimenti sono in generale più bassi, è evidente che gli investitori dovranno assumere più rischio per mantenere lo stesso livello di rendimento.

Le correlazioni tra le asset class sono il fondamento statistico del principio della diversificazione multi asset e del maggior potenziale di rendimenti rettificati per il rischio. Ma il rischio di portafoglio non è di per sé una costante. E la correlazione fortemente negativa tra azioni statunitensi e Treasury USA osservata negli ultimi vent’anni, grazie alla quale gli investitori hanno ottenuto facili vantaggi di diversificazione, appare anormale in una prospettiva di lungo periodo.

Figura 11: è improbabile che persistano forti rendimenti azionari

Rendimenti degli utili di Shiller rettificati ciclicamente vs successivi rendimenti azionari statunitensi a 10 anni

è improbabile che persistano forti rendimenti azionari
Fonte: UBS Asset Management, Refinitiv, a dicembre 2019

Figura 12: Rendimenti degli utili di Shiller rettificati ciclicamente vs rendimenti azionari statunitensi a 10 anni in avanti 1973-2009

Rendimenti degli utili di Shiller rettificati ciclicamente vs rendimenti azionari statunitensi a 10 anni in avanti 1973-2009
Fonte: UBS Asset Management, Refinitiv, a dicembre 2019.

In un precedente articolo (Investment Insights, Relationship Troubles, febbraio 2018) abbiamo sottolineato come il contesto di inflazione – intendendo sia il livello assoluto dell’inflazione, sia la sua volatilità – sia stato il principale driver del rapporto tra azioni e obbligazioni e siamo riusciti a individuare quattro distinti regimi di inflazione nel corso degli ultimi 90 anni.

Data la nostra ferma convinzione che una maggiore spesa fiscale potrà rinvigorire la crescita e l’inflazione dei Paesi sviluppati negli anni '20, ci aspettiamo che la correlazione chiave tra azioni e titoli governativi USA diventi meno negativa con il passare degli anni. Vediamo inoltre ampliarsi la gamma di potenziali scenari macroeconomici rispetto alle limitate opzioni dell’ultimo decennio. Sussiste pertanto il rischio che un eventuale picco nel livello e nella volatilità dell’inflazione possa riportare la correlazione tra azioni e obbligazioni in territorio nettamente positivo.

Figura 13: correlazione a tre anni tra azioni/obbligazioni statunitensi 1963-2019 vs inflazione

correlazione a tre anni tra azioni/obbligazioni statunitensi 1963-2019 vs inflazione
Fonte: UBS Asset Management, Macrobond a dicembre 2019.

Il secondo atto delle obbligazioni

Chiaramente, qualsiasi cambiamento di regime nelle correlazioni può incidere notevolmente sul potenziale di rendimenti risk-adjusted degli ingenti capitali che sono stati investiti in portafogli multi asset sulla base di una correlazione nettamente negativa tra queste due asset class fondamentali.

Di recente molti osservatori si sono espressi sulla questione, talora decretando addirittura la fine del tradizionale portafoglio multi asset 60/40 di azioni e obbligazioni. Senza dubbio, dopo un decennio di crescita abbondante del capitale e bassa volatilità, le prospettive di rendimenti risk-adjusted per le azioni globali e per i titoli governativi dei Paesi sviluppati sono proporzionalmente inferiori.

Ma il fatto che il punto di partenza dei rendimenti limiterà le prospettive di crescita del capitale per i titoli governativi nominali negli anni '20 non significa che le obbligazioni non potranno ancora svolgere un ruolo importante, nel contesto di un portafoglio multi asset, come potenziale fonte di valore. La nostra analisi dimostra che le obbligazioni hanno fornito tendenzialmente (ma non sempre) importanti vantaggi di diversificazione durante le fasi di ingenti ribassi azionari, anche in regimi di correlazione positiva tra azioni e obbligazioni. Crediamo che un contesto di mercato più volatile offrirà inoltre un numero crescente di opportunità tattiche sia lungo le singole curve dei rendimenti sia, su base relativa, tra le diverse curve a livello globale.

Nel complesso, la prospettiva di minori rendimenti risk-adjusted e maggiori correlazioni tra azioni e obbligazioni sembra destinata a rafforzare, anziché indebolire, le argomentazioni a favore dei portafogli multi asset. Ma attuare una vera diversificazione significa differenziare la sensibilità ai fattori macroeconomici, non definire un numero arbitrario di asset class. La prevista combinazione di rendimenti inferiori e maggiore volatilità suggerisce inoltre chiaramente che rispetto agli ultimi dieci anni sarà necessario un approccio più attento e potenzialmente sofisticato alla diversificazione e ottimizzazione del portafoglio. In sintesi, crediamo che gli investitori necessitino di un più ampio universo di investimento di asset class tradizionali e alternative, diversificato in base ai driver macroeconomici, per realizzare ad esempio un’allocazione strategica in titoli governativi collegati all’inflazione e valute, oppure in asset reali come l’oro e i beni immobiliari, potenzialmente avvantaggiati da un aumento dell’inflazione. In questo discorso rientrano anche le infrastrutture. Con l’aumento della spesa fiscale da noi atteso si apriranno probabilmente crescenti opportunità a livello globale negli asset infrastrutturali di natura economica e sociale, nei Paesi sviluppati come nel mondo emergente, con la possibilità di flussi di cassa stabili e interessanti per gli investitori lungo tutta la struttura del capitale.

Secondo la nostra view, il “buy and hold” non sarà una strategia ottimale negli anni '20. Riteniamo che le competenze tattiche e secolari dei gestori attivi, ovvero la capacità di creare alpha, daranno un contributo molto più rilevante ai rendimenti complessivi rispetto a quello fornito negli ultimi dieci anni. La scelta di investire nei mercati privati e pubblici seguendo un approccio attivo basato su un’elevata conviction si rivelerà probabilmente vincente in un contesto più volatile e carico di sfide.

Per migliorare il potenziale di rendimenti risk-adjusted di qualsiasi portafoglio multi asset sarà inoltre fondamentale integrare fonti alternative di alpha derivanti da modelli di sentiment avanzati, analizzare i big data e sfruttare le maggiori opportunità tattiche che probabilmente emergeranno.

Siamo convinti che l’accesso a tutti gli strumenti necessari per implementare in modo ottimale le view di investimento sarà anch’esso determinante per i rendimenti risk-adjusted complessivi del prossimo decennio. Per esempio è possibile, se previsto dal mandato, integrare strutture di payoff non lineari per generare reddito, con l’obiettivo di trarre vantaggio, e al tempo stesso proteggersi, dalla maggiore volatilità attesa.

A prima vista l’outlook di asset allocation per il prossimo decennio può apparire colmo di sfide, date le diffuse previsioni di minori rendimenti, maggiore volatilità e correlazioni più elevate a livello di azioni e titoli governativi, tuttavia siamo convinti che sarà un periodo ricco di potenziale per chi dispone degli strumenti e delle competenze per sfruttare le opportunità che emergeranno in tutto l’universo delle asset class tradizionali e alternative.

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