Incubatore di innovazione: scontro creativo
Imparare molto l’uno dall’altro: Peter Moor, responsabile dello sviluppo aziendale di Swiss Life Svizzera (al centro), dialoga con Adrian Bührer e Myke Näf. Foto: Florian Kalotay.

Adrian Bührer si apre una bottiglia di tè freddo non zuccherato, si appoggia allo schienale della sedia, beve un sorso e dice: «Bello lavorare qui, vero Myke?» Stiamo parlando di Michael Näf, uno dei rari fuoriclasse della scena digitale svizzera.43 anni, una laurea in ingegneria al PF: Näf ha sviluppato la piattaforma di gestione degli appuntamenti doodle.com, prima affermandosi a livello mondiale e poi vendendo l’azienda a Tamedia, la società che controlla il Tages-Anzeiger.

Näf e Bührer, anche lui un pioniere della rete con esperienza di start-up, condividono un ufficio in un edificio medievale nel centro storico di Zurigo. Insieme all’ex direttore creativo di IDEO – azienda operante nel product design – sono l’anima dello Swiss Life Lab (SLL). Si avvalgono della collaborazione di un project manager, uno sviluppatore di app, un programmatore e un’avvocatessa.

I due imprenditori ricevono incarichi da Swiss Life, il gruppo assicurativo che affonda le sue radici nel XIX secolo. Al momento della fondazione dell’istituto all’epoca denominato «Schweizerische Lebensversicherungs- und Rentenanstalt», all’interno del consiglio di amministrazione sedeva ancora Alfred Escher. Oggi Swiss Life, con un volume di premi di 17,4 miliardi di franchi, rappresenta la terza maggiore compagnia assicurativa con sede in Svizzera.

Il centro operativo dell’unità svizzera di Swiss Life è ubicato a Zurigo, nel quartiere periferico di Binz, dove si trova anche l’ufficio di Peter Moor. Direttamente sottoposto a Markus Leibundgut, CEO di Swiss Life Svizzera, questo 54enne è direttore del settore sviluppo aziendale e innovazione ed è il vero e proprio artefice e promotore dell’SLL.

Primo tentativo fallito

«Circa cinque anni fa», ricorda Moor, «redigemmo un documento strategico votato alla trasformazione digitale, che metteva il tema dell’innovazione in cima alla lista delle priorità.» Ai vertici si decise di realizzare un incubatore di idee per l’orientamento al cliente e l’innovazione, al fine di ampliare l’orizzonte dell’innovazione a nuove tecnologie e modelli commerciali. Venne definito un budget e furono assunti specialisti di business e software, assegnando loro risorse. Eppure il progetto non decollò come sperato.

Peter Moor, facendo autocritica, dichiara: «Rispondendo a un’esigenza di semplificazione, abbiamo considerato il team innovazione come un’ulteriore esigenza del gruppo.» Stessa rete IT dei reparti operativi, stessi piani finanziari, disposizioni di reportistica e sistemi d’incentivazione. «E forse l’errore è stato proprio questo», afferma Moor.

Conflitto culturale di base

L’implementazione di una cosiddetta innovazione in fase iniziale in strutture preesistenti di un gruppo è insidiosa e non esistono formule prodigiose. Tuttavia, dato che sono pochissime le grandi aziende ad aver intentato una simile azione, il tema è stato oggetto di numerose ricerche e pubblicazioni scientifiche.

Daniel Huber è professore di gestione dell’innovazione presso la Scuola universitaria professionale di Berna (BFH). Come ex vicedirettore di Swisscom Innovazione ha fatto esperienza sul campo e parla di un conflitto di base: «I gruppi operano con pochi strumenti complessi, le menti creative invece ne utilizzano tanti semplici.» Ciò conduce a problemi di comprensione e, laddove non c’è possibilità di intesa, sorge la diffidenza.

«La maggior parte delle grandi imprese», prosegue Huber, «cerca di frenare le personalità creative fissando obiettivi ben definiti.» Con la conseguenza che perdono proprio ciò che volevano ottenere dagli incubatori: pareri e proposte anticonvenzionali.

Una trappola in cui Peter Moor non è caduto. Ripartendo da capo, decise di inserire tale progetto innovativo in una società affiliata da fondare appositamente. Aveva in mente una sorta di terreno di gioco per ingegneri e designer, giovani diplomati con una mente fresca. Fece colloqui con circa 30 candidati, rimanendo però scettico: «Non ebbi l’impressione che i giovani avrebbero fatto strada da noi.»

A un certo punto, nel novembre del 2014, Moor contattò Myke Näf, che aveva appena divorziato da Doodle. Gli raccontò dei suoi progetti e Näf si mostrò aperto. Tuttavia, fu chiaro riguardo al fatto che non avrebbe potuto assumere le redini da solo: avrebbe avuto bisogno di un partner e consigliò un incontro con Adrian Bührer, imprenditore seriale, investitore e consulente.

Schumpeter reloaded

Perché le imprese sono innovative? Secondo la spiegazione classica perché mirano a ottenere delle «rendite da pionieri», puntando su ricerca e sviluppo. Si tratta di un principio formulato dall’economista austro-americano Joseph Schumpeter nella propria «Teoria dello sviluppo economico» pubblicata nel 1912. Questo concetto di attività innovativa è rimasto valido per decenni, smarrendo la sua forza esplicativa solo negli anni Novanta, in coincidenza dell’apertura economica dei Paesi a bassa manodopera in Asia e nell’Europa orientale. All’epoca questo diede vita a nuove catene di creazione del valore. Allo stesso tempo, Internet ha inasprito la concorrenza globale e aumentato la mobilità dei collaboratori meglio qualificati. In un tale contesto, focalizzarsi su idee innovative all’interno della propria azienda comporta un grande rischio economico.

L’economista americano Henry Chesbrough ne ha tratto le conseguenze teoriche e nel 2003 è stato pubblicato il suo libro «Open Innovation: The New Imperative for Creating and Profiting from Technology». Con Chesbrough è rimasta la ricerca delle caratteristiche distintive, ma l’innovazione non ha più luogo unicamente «in-house», bensì attraverso una rete di scuole universitarie, laboratori di ricerca, grandi aziende, start-up, fornitori e clienti. Un’impresa che rimanga innovativa a lungo funziona come un filtro a tre livelli. Innanzitutto perlustra il suo orizzonte interno ed esterno alla ricerca di idee, poi le valuta e infine mette insieme le risorse per commercializzare con successo le proposte promettenti.

Nessun compromesso

Non sarebbe rimasta l’unica condizione che Näf – e poi anche Bührer – avrebbero posto al loro coinvolgimento: «Quando si trattava di libertà, non scendevano a compromessi», ricorda Peter Moor. E lo dice senza rancore perché era proprio quel che cercava: «Un lab come il nostro ha bisogno di dirigenti indipendenti sia intellettualmente che finanziariamente. Solo così è possibile farsi valere in un gruppo come il nostro.»

Nell’estate del 2015 il Lab ha aperto i suoi uffici a Zurigo, al n. 10 della Weinplatz. Il team ha poi iniziato a valutare tecnologie, ponderava nuovi modelli di business, costruiva prototipi – in gergo definiti anche «minimum viable products» (MVP) –, collaborava con start-up esterne e vagliava una possibile partecipazione in imprese giovani, sempre con una triplice attenzione ai settori Insurtech (assicurazioni), Fintech (finanze) e Proptech (immobili).

Incubatore di innovazione: scontro creativo
Come abiteranno e lavoreranno le persone del futuro? Adrian Bührer di Swiss Life Lab alla ricerca di tracce nel plastico di Zurigo. Foto: Florian Kalotay

Apprendere a doppio senso

«Dovemmo imparare molto in quel periodo», ricorda Peter Moor. Per esempio che per una start-up con cinque collaboratori non è sensato mandare diversi revisori, controller e avvocati solo per esaminare i documenti necessari per la due diligence.

Ma fu necessaria una certa capacità di adattamento anche da parte di Adrian Bührer, direttore del Lab oggi 39enne. «All’inizio eravamo troppo irruenti», ammette con il senno di poi. Per esempio durante la prima presentazione di fronte allo steering committee sulla digitalizzazione furono presentati subito dieci progetti. Non ne andò in porto neanche uno.

Nel frattempo, fra Binz e Weinplatz si è instaurata una buona collaborazione quotidiana. Il comitato direttivo si è abituato alla laboriosità del Lab, che a sua volta tiene conto delle tradizioni e della mentalità del gruppo, per una collaborazione basata sul rispetto reciproco. «Devo constatare che molte buone idee erano già presenti», dichiara Adrian Bührer.

Ripensare l’assicurazione e la previdenza è l’incarico del Lab, il cui primo grande impatto non è stato però sul suo core business, bensì sul settore immobiliare della società madre.

Prospettiva del cliente

Il progetto prende il nome di «Digital Living» e mira a delineare le attività immobiliari di Swiss Life in un ecosistema digitale interconnesso (vedi riquadro). Ciò va a braccetto con una nuova ottica: la categoria di investimento degli immobili, con le sue diverse dimensioni, dovrà in futuro essere gestita e sviluppata ancora più in funzione di una logica abitativa e lavorativa intesa come esigenza umana fondamentale.

Digital Living

Solo in Svizzera, Swiss Life detiene quasi

1100 immobili da reddito di valore superiore ai 25 miliardi di franchi. Se si considerano anche la società affiliata Livit e le attività internazionali, Swiss Life si annovera tra i principali investitori immobiliari istituzionali d’Europa e dispone di team dedicati per acquisizione, sviluppo e pianificazione, nonché per la rappresentanza del committente e la direzione progetto.

Allo stesso tempo la proprietà immobiliare costituisce un importante elemento della previdenza privata. Swiss Life è presente in entrambi i settori con società affiliate: Immopulse rientra ormai fra le principali imprese di mediazione immobiliare per l’acquisto o la vendita di immobili a uso abitativo, Livit ricopre invece un posto di prima categoria per la gestione immobiliare.

Il progetto «Digital Living» mira a delineare i servizi esistenti in una catena digitale di creazione del valore, che si estenda dalla costruzione di un immobile fino alla sua gestione. Come sempre con le strategie di digitalizzazione, tutto ruota intorno ai dati. La loro analisi dovrebbe migliorare l’efficienza aziendale, fornendo un orientamento per l’ottimizzazione e lo sviluppo costante dell’offerta.

Rispetto all’implementazione pratica, Swiss Life punta sulla massima flessibilità. In un nuovo hub immobiliare digitale, gli sviluppi propri hanno lo stesso posto dei prodotti e servizi delle aziende partner, per esempio delle start-up in cui il gruppo agisce anche come investitore.

I primi risultati della strategia Digital Living dovrebbero pervenire entro la fine dell’anno.

«Nel realizzare la nostra offerta, in futuro vogliamo pensare in modo coerente partendo dalla prospettiva del cliente, dando maggiore spazio alla componente emozionale. In quest’ottica la tematica abitativa è perfetta», spiega Peter Moor. La digitalizzazione ci mette a disposizione gli strumenti tecnici necessari, che noi intendiamo sfruttare maggiormente.

Nell’ottobre dello scorso anno ha preso ufficialmente avvio il progetto «Digital Living», che ha suscitato una grande risonanza positiva e che viene attualmente promosso con azioni mirate anche dalla direzione del gruppo. Nel frattempo il Lab fondato da Swiss Life ha ottenuto l’incarico per tutta l’azienda.

Sostegno dall’alto

«Traduttori»: è così che il ricercatore in tema di innovazione Daniel Huber definisce le persone come Bührer. Capiscono la lingua del CEO di un gruppo imprenditoriale così come quella di un programmatore e un designer. Sono in grado di riconoscere il potenziale commerciale di un lampo di genio, estrapolandone gli aspetti tecnici. Gettano un ponte fra fantasia e produttività.

E in questo Bührer può contate sull’appoggio di Peter Moor, che identifica l’interlocutore all’interno del gruppo e organizza le riunioni con i responsabili operativi. «Perché senza un accesso diretto ai vertici aziendali», sostiene Moor, «un modello come il nostro non funziona».

Adrian Bührer ha fondato ad appena 22 anni la piattaforma students.ch insieme ai suoi compagni di studi. Nel 2007 l’ha venduta alla casa editrice Springer Verlag. Da allora quest’esperto di economia aziendale è attivo come investitore (per esempio in farmy.ch) e coach nel campo dell’innovazione.

Myke Näf ha fondato diverse imprese e cambiato il modo di fissare un appuntamento: adesso per incontrarsi si crea un doodle. Dal suo ritiro da Doodle, Näf lavora come investitore e consulente.

Peter Moor si definisce un pensatore aperto e creativo nel mondo di Swiss Life. Prima della sua nomina a direttore del settore sviluppo aziendale e innovazione nel 2011, Peter Moor ha maturato una solida esperienza nel gruppo. Da ultimo ha fatto parte della direzione aziendale e ha coordinato il reparto IT di Swiss Life Svizzera.

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