Investire in un contesto di tassi bassi

Professor Hens, negli ultimi anni il quadro generale dell’attività d’investimento ha subito profondi mutamenti, gli interessi di molti titoli di Stato sono scesi sotto lo zero. Cosa devono fare gli investitori: adeguarsi o perseverare nella propria strategia?
 

Gli investitori dovrebbero conformarsi ai nuovi scenari, tenendo presente che ai fini della strategia gli interessi sono uno dei principali parametri. In primo luogo, in una fase di questo tipo ci si deve chiedere se sia meglio collocare il denaro o prenderlo in prestito. I tassi bassi non vogliono essere una sanzione per gli investitori, bensì un incentivo per la crescita economica. In tal senso si potrebbero reperire mezzi investendoli in modo produttivo.

Significa che dobbiamo farci convincere dalle banche centrali a fare debiti?
 

Chi, in un contesto di tassi bassi, si lamenta della mancanza di opportunità d’investimento invece d’impiegare produttivamente il capitale deve fare un mea culpa. Le opzioni disponibili sono diverse, soprattutto per i grandi investitori. Si può allocare in prodotti dotati di leva oppure si può accendere un prestito e usare i mezzi a disposizione per un investimento, ad esempio in azioni. Così facendo si partecipa al capitale produttivo. È anche possibile scegliere dei fondi di private equity o venture capital già provvisti di un forte effetto leva. Non è il momento giusto per rimborsare l’ipoteca dell’immobile di proprietà, ma è propizio per ampliare casa o comprarne una più spaziosa.

Banking e Finanza
Thorsten Hens dell’Istituto di Banking e Finanza all’Università di Zurigo. (foto: Simon Tanner/NZZ)

Non è troppo rischioso speculare a credito su azioni?
 

Naturalmente si tratta di una strategia azzardata che nella situazione contingente è riservata agli investitori provetti con una buona capacità di rischio. È chiaro che non si deve rischiare di rimetterci tutto quello che si ha. A titolo di garanzia viene dato il deposito azionario in banca, quello rappresenterà la perdita massima. Se, ad esempio, ho già una casa e dispongo di 100 000 franchi, posso investirli in azioni. Oppure posso chiedere un prestito su deposito in pegno e investire in azioni 140 000 franchi. Se va male, logicamente questi soldi vanno in fumo. Occorre riflettere con attenzione prima di agire.

Finora il «margin debt», cioè la speculazione su azioni con denaro in prestito, era tabù.
 

In tempi normali è giustificato, ma non quando i tassi sono ai livelli attuali. D’altronde, anche la Banca nazionale svizzera lo fa, investendo sul mercato azionario i propri introiti derivanti da interessi e divise.

Solo che la BNS può sempre battere nuova moneta. Inoltre c'è da chiedersi se il rapporto opportunità-rischio sia ancora favorevole, visto che il mercato azionario ha alle spalle una lunga fase «toro».
 

La valutazione dei listini azionari USA è molto alta, con un rapporto medio di corso-utile pari a 25, ma in Europa e in Giappone risulta ancora relativamente conveniente. Si potrebbero quindi acquistare azioni europee e giapponesi.

Se l’indice Dow Jones, considerato il barometro della borsa statunitense, scende del 20% è inverosimile che lo SMI salga del 10%, ma è molto più probabile che venga trascinato verso il basso. In un’evenienza del genere a cosa mi serve, come investitore, scegliere la migliore valutazione?
 

Le azioni europee sono sottovalutate in seguito alla crisi del debito. Nel caso in cui il Dow Jones accusi una forte contrazione, sicuramente anche i valori europei seguirebbero la stessa sorte. Ma almeno in Europa le valutazioni resterebbero comunque più interessanti. Se il mercato azionario crolla, sorgono inevitabilmente dei problemi, che comunque si produrrebbero in egual modo se si fosse fortemente esposti in obbligazioni e sopraggiungesse un’inversione repentina e drastica dei tassi.

Lei è un esperto di behavioral finance. In quali trappole psicologiche può cadere un investitore in un momento come quello attuale?
 

Ci sono investitori che si fissano troppo sul risultato da raggiungere. Molti investitori istituzionali vogliono conseguire, ad esempio, un rendimento del 3-4% e si accollano grossi rischi. Ma potrebbero ridimensionare l’apparato amministrativo, e così forse basterebbe un rendimento del 2-3%. Ci sono poi gli errori cognitivi della cosidetta «gambler’s fallacy», cioè la fallacia dello scommettitore. Succede come alla roulette: se per dieci volte consecutive esce il rosso, i giocatori credono che sia arrivato il momento di puntare sul nero. Molto investitori aspettano ormai da anni una svolta dei tassi e troppo spesso hanno ridotto la duration. Ma che questa svolta intervenga o meno non dipende dall’andamento pregresso dei tassi, quanto piuttosto dallo sviluppo futuro dell’economia.

Lei è un fautore dell’idea dei mercati finanziari evolutivi. Che cosa significa esattamente?
 

In base alla teoria tradizionale dei mercati finanziari, si è premiati solo per l’assunzione di rischi. La teoria evolutiva considera invece i mercati finanziari come un terreno di scontro di strategie d’investimento, in concorrenza tra loro per la conquista del capitale. Per ogni vincitore c’è un perdente. L’analisi evolutiva è la sola che tenga conto, oltre ai premi di rischio, di altre fonti di rendimento che scaturiscono da interazioni dinamiche, ad esempio dal comportamento nelle fasi di crisi.

Che cosa ne ricava l’investitore privato?
 

Invece di ripartire il patrimonio su azioni, obbligazioni o titoli del mercato monetario, si potrebbe attuare un’allocazione di strategie combinando strategie rebound, value, di illiquidità o di assicurazioni. Secondo la mia teoria, ciò insegna che non dobbiamo pensare in modo statico. Il sistema evolve e sorgono sempre nuove chance. Un fenomeno contemporaneo di vasta portata è il massiccio flusso migratorio di popolazioni dal sud al nord del mondo. Si potrebbe riflettere a come aiutare i tanti profughi e conseguire al contempo un ritorno reddituale, ad esempio investendo in imprese che costruiscono appartamenti a basso costo. È un modo per sfruttare un’opportunità, proprio come in una strategia rebound in cui si sarebbero comprate azioni VW sotto 100 perché erano notevolmente sottovalutate.

Questo significa che non crede alla teoria del mercato efficiente?
 

Ci sono fasi in cui il mercato è efficiente, altre in cui lo è meno. Quando si verifica il secondo caso, si presentano delle opportunità: si pensi alla catastrofe di Fukushima o alla sorprendente decisione della BNS di abolire la soglia minima del franco nei confronti dell’euro. Ma non è un ambito congeniale agli investitori privati. Occorrono degli esperti, perché in queste fasi si deve reagire in fretta pur conservando una buona dose di raziocinio.

Se davvero è così facile, come mai da vari studi scientifici emerge sempre più spesso che non conviene una gestione attiva del patrimonio?
 

Per due motivi. In primo luogo dipende dal fatto che i fondi vengono misurati in base ai loro rendimenti, calcolati nelle pubblicazioni scientifiche estrapolandoli completamente dal contesto e corrispondenti a vari multipli di quelli delle azioni. Ma persino gli autori di queste opere pluripremiate, come Eugene Fama e Kenneth French, non sono stati in grado in vent’anni di trasferire questi rendimenti dalla teoria alla realtà pratica. Se si misurano i fondi solo in funzione del mercato, ad esempio in confronto al S&P 500, allora sono molti gli investitori che battono il mercato da decenni. In secondo luogo è dovuto alle commissioni elevate, percepite dalla maggior parte dei manager di successo, che finiscono per assottigliare i guadagni. Come gestore attivo in gamba non regalo certo i miei rendimenti ad altri, ma li tengo per me. Gli investitori dovrebbero affidare i propri soldi a gestori che hanno una buona strategia senza però possedere un lungo curriculum di brillanti performance. Sono quelli che non possono ancora esigere compensi così alti.

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