Durante i vari processi di valutazione aziendale emergono sempre nuove teorie su quali criteri determinano il valore di un’azienda. Alcune di queste teorie sembrano, lì per lì, molto plausibili ma, osservandole più da vicino, si rivelano dei semplici miti. Qui di seguito eccone cinque assai diffusi.

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Mito n. 1: il titolare è colui che conosce meglio il valore dell’azienda

Ciò che contraddistingue praticamente tutti i titolari di PMI è il forte legame personale ed emotivo che hanno stabilito con l’azienda. Negli anni, infatti, hanno investito molto denaro, tempo e lavoro per costruirla e ampliarla. Ma il fatto è che l’investimento finanziario e personale rischia di fornire un’immagine distorta del valore della propria azienda, di cui ci si accorge al più tardi soltanto in fase di valutazione.

Un simile scenario si viene a delineare soprattutto quando si prendono come riferimento i valori patrimoniali immateriali, ad esempio il know-how settoriale o il rapporto di fiducia con la clientela. Tuttavia, il vero valore di tali fattori è quello effettivamente quantificato durante il processo di valutazione. Un rapporto di lunga data con la clientela può confluire nella valutazione aziendale come indice quantificabile soltanto nel momento in cui sia possibile tramandarlo, con determinate condizioni, a un nuovo proprietario.

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Mito n. 2: la valutazione è tutt’altro che una scienza esatta

Una valutazione aziendale si basa su diverse ipotesi. Non esiste una formula magica per stabilire un valore esattamente quantificabile e oggettivo di ogni azienda. Ciò nonostante, la valutazione non può neanche essere automaticamente bollata come operazione arbitraria. Essa è, piuttosto, un tentativo di avvicinamento sistematico e il più preciso possibile alla vostra situazione aziendale reale. Due sono i metodi che permettono di compiere una valutazione aziendale.

  • Il metodo fondamentale valuta la vostra azienda in base al valore interno, dato da valori patrimoniali e ricavi. L’approccio più utilizzato, in questo caso, è quello del «valore reddituale futuro» con il metodo DCF (Discounted Cash Flow). Secondo questo metodo il valore dell’azienda è determinato dall’ammontare delle eccedenze future.
  • Con il metodo del confronto di mercato, invece, mira a utilizzare, come base di valutazione, i parametri di altre aziende attive sul mercato e di applicarli alla vostra azienda. Come valori comparativi, in questo metodo, vengono prese in considerazione simili aziende quotate in borsa o anche analoghe transazioni aziendali passate. È anche detto approccio dei moltiplicatori o approccio dei «multipli» (entrambi utilizzano l’EBITDA o l’EBIT come indicatori).

Mito n. 3: il valore fiscale fornisce una base di valutazione affidabile

Per la determinazione del valore fiscale di società commerciali, società industriali e società dei servizi, le autorità fiscali svizzere si basano su una variante del metodo pratico, impiegata spesso anche nella prassi per la valutazione semplificata delle PMI. I parametri rilevanti per questa analisi sono il valore di sostanza e il valore di reddito, a partire dai quali si calcola il valore aziendale in relazione 2:1. Questo iter semplificato è decisamente sensato al fine della riscossione dell’imposta, in quanto non mette al centro il valore di mercato attuale bensì, prima di tutto, la comparabilità dell’applicazione e la consistenza dei risultati.

Tuttavia, nella maggior parte dei casi, non basta il valore fiscale per compiere una valutazione di mercato attendibile. A seconda del modello di business e dell’andamento, infatti, questo può discostarsi nettamente dal valore aziendale effettivo. È così che, solitamente, si finisce per sottovalutare le aziende in piena espansione e di sopravalutare in parte eccessivamente quelle stagnanti o non redditizie sul lungo periodo. Chi dunque, per compiere una valutazione, considera soltanto il valore fiscale di un’azienda solo in rari casi avrà in mano una buona stima del valore di mercato.  

Mito n. 4: il valore aziendale è dato dalla somma di tutti gli investimenti

Molti investimenti connessi alle attività correnti non generano alcun valore aggiunto immediato bensì mirano a mantenere la base economica dell’impresa. Questi valori quindi non possono essere fatti confluire nella valutazione aziendale. Questo è il motivo per cui sarebbe utile operare un’accurata differenziazione:

  • Gli investimenti finalizzati alla conservazione del valore sono tali, come dice il termine, se servono per la manutenzione e l’esercizio di impianti, immobili o processi preesistenti. Questo tipo di investimenti è indispensabile per chi intende evitare una perdita di valore della propria azienda a medio termine.
  • Gli investimenti finalizzati alla generazione di valore, invece, danno origine a qualcosa di «nuovo», ad esempio a un nuovo impianto o all’impiego di nuove tecnologie che in futuro dovrebbero generare un flusso di cassa più elevato. Tali investimenti contribuiscono ad accrescere il valore dell’azienda.

Spesso i consulenti M&A (esperti di acquisizioni e fusioni aziendali) notano che i titolari di azienda provano un certo malessere se, durante il processo di valutazione, molti degli investimenti fatti non vengono rispecchiati nel valore aziendale o solo in parte. Ciò è comprensibile, se si pensa che qualunque investimento comporta dei rischi finanziari, che in definitiva sarà il titolare a doversi accollare. Per questo motivo, se questi investimenti non vengono fatti rientrare nella valutazione, la sensazione dell’imprenditore è che tutto il lavoro fatto sia stato invano.

In effetti, può capitare che interi valori patrimoniali non vengano affatto considerati nella valutazione. Ad esempio, quando durante il processo di vendita non si trova alcun acquirente che voglia portare avanti l’attività aziendale ispirandosi allo stesso modello di business finora applicato. Questo è successo a un cliente UBS attivo nel settore industriale, il quale possedeva un grandissimo magazzino con diversi macchinari per la costruzione di impianti. Un potenziale acquirente era interessato al magazzino ma lo avrebbe voluto utilizzare per fabbricare prodotti per l’igiene dentale; quindi in definitiva non gli servivano i macchinari industriali. Questi, infatti, non sono stati considerati né nella valutazione né nel prezzo di vendita.

Mito n. 5: lo scopo della valutazione è soltanto di determinare l’esatto valore aziendale

La valutazione aziendale, oltre ad essere un metodo per stabilire un prezzo di vendita adeguato, è anche uno strumento di analisi trasparente di tutti i fattori rilevanti per l’azienda stessa e per il suo valore. Il fine ultimo della valutazione aziendale non è altro che fare un confronto tra la vostra visione interna di imprenditori e lo sguardo esterno del potenziale acquirente.

La valutazione aziendale non mira a fornirvi una cifra il più possibile allettante, nella quale sia riconosciuto il vostro impegno per l’azienda. Essa garantisce piuttosto l’oggettività del valore aziendale attuale, che dovrebbe servire a convincere i potenziali acquirenti. Questi ultimi, infatti, desiderano prima di tutto trasparenza, che è a sua volta la base necessaria per delle trattative di vendita fondate sulla fiducia. In tal senso, per partire col piede giusto, i requisiti migliori sono: procedere in modo strutturato e fare valutazioni oggettive.

Jürg Tauss

Jürg Tauss

Responsabile M&A Valuation Desk presso UBS

In qualità di responsabile dei processi di valutazione aziendale nonché di responsabile di progetto per le transazioni aziendali, Jürg Tauss fornisce un’attenta consulenza ai propri clienti in fase di valutazione e di vendita della loro azienda.

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