Una transizione al tiro alla fune
In che modo le aziende energetiche dovrebbero allocare la spesa in conto capitale e percorrere al meglio il cammino verso le zero emissioni nette
Il mondo è alle prese con il duplice imperativo di ridurre le emissioni di anidride carbonica e garantire la sicurezza energetica, il che significa che i colossi dell'energia si trovano di fronte a un bivio. Lucy Thomas e Ellis Eckland valutano le dinamiche del tiro alla fune sulla spesa in conto capitale (Capital Expenditure, CapEx: rappresentano flussi di cassa in uscita per la realizzazione di investimenti in attività immobilizzate di natura operativa) che si sta verificando all'interno dei dipartimenti finanziari e di strategia aziendale degli operatori storici del settore energetico.
Cosa c'entra però il popolare gioco di forza molto in voga nei secoli scorsi con le spese di capitale di un'azienda energetica? Capiamolo meglio. La percezione che gli investitori hanno dei loro orizzonti temporali e delle loro priorità gioca un ruolo significativo nella loro disponibilità ad adottare pratiche di investimento sostenibili per il cambiamento climatico.
Da un lato, alcuni investitori value tradizionali danno priorità agli effetti a breve termine a scapito di quelli a lungo termine. Questo non si riferisce solo all'assegnazione di priorità dei rendimenti e dei dividendi a breve termine, ma mette in evidenza che alcuni investitori non sono in grado di considerare l'urgenza di investire a lungo termine senza una minaccia immediata. Abbiamo visto gli investitori modificare i loro processi in caso di eventi simili a guerre o pandemie, ma l'urgenza della crisi climatica non scatena la stessa reazione di paura.
Dall'altro, un gruppo distinto di investitori sostenibili e di organizzazioni non governative (ONG) è in grado di agire rapidamente, dando priorità ai propri investimenti in linea con il raggiungimento degli obiettivi climatici. Le compagnie petrolifere storiche si trovano quindi in bilico tra gli investitori sostenibili e le ONG (che hanno ricevuto una grande attenzione da parte dei media) che chiedono una transizione rapida e i tradizionali investitori di valore che si preoccupano della distruzione di valore spesso associata a strategie di transizione aggressive.
In effetti, alcuni colossi europei offrono numerosi esempi recenti di decisioni inadeguate in materia di allocazione del capitale. BP è stata la prima grande società petrolifera a impegnare un capitale significativo nelle energie rinnovabili attraverso investimenti in progetti solari ed eolici. In particolare, nel 2001 hanno lanciato una campagna da 200 milioni di USD per trasformare BP in Beyond Petroleum e nel 2005 hanno fondato BP Alternative Energy per consolidare le loro attività a basse emissioni di carbonio. Questi progetti le hanno fatto perdere oltre 8 miliardi di USD1. Secondo alcune stime, se il capitale fosse stato investito al costo del capitale attraverso il petrolio e il gas o il riacquisto di azioni, il prezzo delle azioni BP sarebbe stato superiore di circa il 45%. Casi come questo sottolineano l'importanza di considerare le realtà pragmatiche prima di tuffarsi.
Sembra esserci anche un notevole distaccamento tra le dichiarazioni pubbliche dei governi sulla riduzione della produzione di combustibili fossili per affrontare i cambiamenti climatici e le loro politiche e piani effettivi che continuano a sostenere e incentivare l'aumento dell'estrazione e dell'uso di combustibili fossili. Nonostante 151 governi nazionali si siano impegnati a raggiungere l'obiettivo delle zero emissioni nette, da un importante rapporto del Programma delle Nazioni Unite per l'Ambiente (UNEP) è emerso che i governi a livello globale prevedono di produrre circa il 110% in più di combustibili fossili nel 2030 rispetto a quanto sarebbe compatibile con la limitazione del riscaldamento a 1,5˚C2.
Un altro gruppo di parti interessate che contribuisce all'intensità di questo tiro alla fune sono i consumatori. Se da un lato sembra esserci una generale apertura dei consumatori e una domanda di soluzioni energetiche sostenibili per sostituire i combustibili fossili, dall'altro le preoccupazioni relative all'accessibilità economica di questa nuova tecnologia potrebbero far prevalere il desiderio di una transizione rapida. Con la costante prevalenza della povertà energetica3 e del costo della vita post-pandemia, i consumatori sono alla ricerca di garanzie in materia di protezione e assistenza prima che il loro sentiment possa trasformarsi in azione.
Si dovranno prendere decisioni difficili e compromessi impegnativi.
Quindi, mentre ci avviciniamo al 2030 e alla scadenza di alcune ambizioni climatiche, si dovranno prendere decisioni difficili e compromessi impegnativi. Come possono queste aziende energetiche, che sono fondamentali per guidare la transizione energetica globale, bilanciare gli interessi contrastanti della sostenibilità ambientale, della redditività economica e della sicurezza energetica, quando decidono dove allocare le loro spese in conto capitale (CapEx)?
Realismo pragmatico
Realismo pragmatico
Questo tiro alla fune sarebbe meno impegnativo se entrambe le squadre mollassero per un attimo la fune e facessero un passo indietro per esaminare gli attuali progressi verso gli obiettivi di zero netto e la riduzione dell'uso di combustibili fossili. Entrambe le parti scoprirebbero che è necessario affrontare molte dure verità prima di riprendere il gioco.
In primo luogo, come afferma Vaclav Smil, l'obiettivo globale di zero emissioni nette di carbonio entro il 2050 è improbabile a causa della nostra attuale dipendenza dai combustibili fossili4. La domanda di combustibili fossili non sta diminuendo con la rapidità prevista e si è stati irrealisticamente ottimisti sul percorso da seguire per raggiungere questi obiettivi. Inoltre, "la velocità, la scala e le modalità (tecniche, economiche, sociali e politiche) sarebbero storicamente senza precedenti". Non possiamo paragonare questa transizione a nessuna delle precedenti transizioni energetiche che abbiamo affrontato. Mai in una precedente transizione energetica abbiamo effettivamente ridotto l'uso del carburante precedente, né siamo mai passati a una forma meno densa di energia.
Ad esempio, stiamo ancora utilizzando la maggior quantità di legno che abbiamo mai usato (le energie tradizionali da biomassa hanno fornito ancora circa il 5% dell'energia primaria mondiale nel 2020)5, nonostante la transizione sia iniziata oltre 100 anni fa. Con l'attuale transizione verde, non solo vogliamo introdurre le energie rinnovabili, ma vogliamo ridurre l'uso di carbone, petrolio e gas, non entro 100 anni, ma entro 30 anni. Questo rende il compito nove volte più difficile.
Ancora più impegnativo è il fatto che, secondo l'Agenzia Internazionale dell'Energia (AIE), non abbiamo ancora raggiunto il picco del consumo globale di combustibili fossili e si prevede che lo raggiungeremo solo nel 2030.5 La portata di questa disruption deve coprire un periodo di tempo molto breve. Inoltre, la creazione dell'infrastruttura per le energie rinnovabili, comprese le batterie e i veicoli elettrici (EV), richiede molta energia. In effetti, la Cina produce la maggior parte dei nostri pannelli solari e delle turbine eoliche, e per farlo utilizza il carbone (la fase più intensa del processo di produzione dei pannelli solari avviene in una regione cinese in cui il carbone rappresenta il 77% della produzione di energia elettrica)6. Una nota positiva è che riteniamo che la produzione di carbone in Cina raggiungerà presto il picco massimo e le emissioni dovrebbero iniziare a diminuire di conseguenza7.
In definitiva, le soluzioni rapide e semplici non funzionano. Tagliare troppo rapidamente la produzione di combustibili fossili non è solo sempre più difficile, vista la forte domanda, ma anche controintuitivo. Se si tagliano troppo rapidamente i combustibili fossili, questi potrebbero diventare estremamente costosi e causare un forte shock economico. Ciò danneggerà i consumatori e avrà potenziali effetti a catena. Ad esempio, quando le persone sono preoccupate di perdere il lavoro, tendono a preoccuparsi meno del clima. Inoltre, se la Cina taglia il carbone, che utilizza per creare pannelli solari e turbine eoliche, è probabile che il costo delle rinnovabili aumenti. Le persone non sembrano essere pronte per questo. Considerando ciò che è fattibile nella pratica, gli investitori possono bilanciare alcune delle voci provenienti da entrambe le parti e affinare di conseguenza le loro aspettative di allocazione delle loro spese in conto capitale (CapEx).
I compromessi della transizione
I compromessi della transizione
Facendo un passo indietro, emerge una visione più chiara di dove gli operatori storici del settore energetico dovrebbero posizionare le loro spese in conto capitale (CapEx). Sebbene riteniamo che qualsiasi percorso di transizione offra opportunità di rendimento positivo, non è facile trovare un equilibrio.
Le società petrolifere e del gas devono avere strategie con una forte logica industriale e un potenziale di rendimento accettabile per gli azionisti.
Per cominciare, le società petrolifere e del gas devono avere strategie con una forte logica industriale e un potenziale di rendimento accettabile per gli azionisti. Sebbene la transizione rappresenti un cambiamento radicale per l'industria dell'energia, le realtà commerciali implicano che qualsiasi investimento deve avere un senso per l'azienda. Come negli esempi precedenti di BP, gli operatori di mercato si sono preoccupati di investimenti non competitivi e hanno venduto le azioni.
Un po' di conforto può venire dal fatto che le reazioni degli investitori non sono universalmente negative alle strategie di transizione aggressive; alcuni dei primi leader, come Neste e Orsted, sono stati beniamini del mercato nonostante l'abbandono quasi totale dei combustibili fossili. Perché? Perché avevano strategie chiare basate su vantaggi competitivi ampiamente riconosciuti.
Gli operatori storici potrebbero quindi prendere in considerazione la possibilità di tagliare gli investimenti di capitale di alto livello nelle attività a monte, in modo da ridurli nel tempo, investendo contemporaneamente in settori finora più di nicchia della transizione energetica, dove hanno un reale vantaggio competitivo. Un modo per accertare come e dove si trovino questi elementi è quello di esaminare le domande di brevetto. Un dato spesso trascurato è il numero di brevetti green depositati dagli operatori storici dell'energia (secondo alcuni studi, ne producono di più e di qualità superiore)8.
Sappiamo che questo è vero quando si tratta di biocarburanti, ambito in cui i colossi petroliferi tendono ad avere posizioni molto forti, in quanto richiedono competenze di raffinazione molto simili a quelle delle loro raffinerie fossili, o di cattura e stoccaggio del carbonio (CCS), ambito in cui le compagnie petrolifere lo fanno da oltre 40 anni e hanno un'immensa esperienza. Per raggiungere uno scenario delle zero emissioni nette entro il 2050, l'attività di CCS deve espandersi di 120 volte per compensare circa il 45% delle emissioni9. Si tratta di un settore in cui le aziende produttrici di combustibili fossili dovrebbero assumere un ruolo guida, dato il loro vantaggio competitivo. La prevalenza di normative di sostegno e la capacità di offrire la "cattura del carbonio come servizio" costituiranno un grande vantaggio per i colossi del settore o per chi ha un vantaggio competitivo.
In ultima analisi, i progetti energetici innovativi possono essere intrinsecamente più rischiosi rispetto agli investimenti tradizionali per due ragioni principali e riteniamo che ciò debba riflettersi in tassi di sconto più elevati per i progetti di estrazione di combustibili fossili.
In primo luogo, è aumentato il rischio di non recupero o di obsolescenza degli asset delle compagnie petrolifere e del gas a causa dei progressi tecnologici. A parte la politica green, c'è il rischio che, con la migrazione dei migliori talenti scientifici verso posti di lavoro nell'innovazione della tecnologia green, le nuove soluzioni possano rendere il petrolio e il gas costosi e obsoleti, rendendo gli asset non recuperabili. Prevediamo che la combinazione di energia solare ed elettrolizzatori a basso costo per l'idrogeno pulito sia il rischio più grande per i combustibili fossili.
La seconda questione riguarda la licenza sociale dei colossi petroliferi. Una parte del mondo incolpa queste aziende per il cambiamento climatico, creando un ambiente favorevole all'aumento del rischio politico. Nel peggiore degli scenari, che rimane comunque possibile, un politico scontento potrebbe usare questo aspetto come giustificazione per nazionalizzare i propri asset. Il rischio politico è quindi estremamente elevato e i rendimenti devono essere compensati da tassi di sconto più elevati. Per contestualizzare questo dato, riteniamo che, grazie alla combinazione di questi fattori, le società del settore petrolifero e del gas siano rischiose almeno quanto i mercati di frontiera, per i quali è previsto un tasso di sconto del 20%.
Nonostante il declino dei colossi europei, con l'affinamento delle loro strategie e l'integrazione di una maggiore logica industriale, la situazione potrebbe invertirsi. Esiste anche un effetto di fase temporanea, in cui gli investitori utilizzano gli stessi multipli storici pur considerando i flussi di cassa più bassi delle rinnovabili. Dopo qualche anno, potrebbero rendersi conto che anche il tasso di sconto è diminuito, rendendo il valore meno distruttivo rispetto ai calcoli iniziali.
Inoltre, le principali società energetiche potrebbero versare liquidità agli investitori che potrebbero a loro volta riallocarla su interessanti soluzioni climatiche in altre parti del mercato. Ciò potrebbe includere i riacquisti di azioni proprie, che negli ultimi anni hanno registrato un'impennata nel numero. Riteniamo che una forte disciplina del capitale e l'investimento in settori in cui queste società presentano vantaggi competitivi siano la chiave di una strategia di successo per gli azionisti.
Transizione rapida e lenta
Transizione rapida e lenta
Il suggerimento di una transizione più lenta è indubbiamente scoraggiante, ma storicamente sono sorti problemi quando le aziende hanno effettuato una transizione troppo rapida. Abbiamo anche visto che questo non va bene al management delle aziende per paura che gli investitori fuggano. Steven Chu (ex Segretario all'Energia degli Stati Uniti sotto l'amministrazione Obama) ha raccontato la sua esperienza di consulente di Shell per la transizione energetica: la pressione sul prezzo delle azioni è aumentata a causa di obiettivi più ambiziosi rispetto a quelli dei concorrenti, nonostante la maggior parte dei suoi investimenti in petrolio e gas.10 In seguito, a marzo, hanno abbandonato un importante obiettivo climatico. Chu sottolinea giustamente che, mentre le temperature globali hanno superato i record per 11 mesi consecutivi, i mercati continuano a punire le aziende che effettuano investimenti green.
La transizione energetica è un percorso irreversibile e gli operatori storici del settore energetico devono continuare ad adattare le loro strategie sulle spese in conto capitale (CapEx) per allinearsi. L'urgenza e la portata del problema rendono difficile qualsiasi grado di tolleranza. Eppure abbiamo bisogno che gli operatori storici svolgano un ruolo chiave nella decarbonizzazione della società.
Il futuro vedrà probabilmente un portafoglio energetico più diversificato, con una costante transizione dai combustibili fossili alle fonti rinnovabili.
A nostro avviso, il futuro vedrà probabilmente un portafoglio energetico più diversificato, con una costante transizione dai combustibili fossili alle fonti rinnovabili. Se le aziende produttrici di combustibili fossili propongono strategie convincenti che si impegnano a realizzare un piano di riduzione, a non creare nuove riserve e a garantire rendimenti agli azionisti, è possibile porre fine a questo tiro alla fune con strette di mano da parte di tutti.
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