Mentre il mondo continua a dividersi e a frammentarsi, una gestione efficace della supply chain assume un'importanza crescente per la redditività e la resilienza delle società. Massimiliano Castelli e Lucy Thomas approfondiscono il ruolo cruciale della geopolitica e della sostenibilità in questo processo decisionale strategico e operativo.

È il luglio 2011 e 65 delle 76 province thailandesi sono appena state dichiarate zone disastrate a causa delle inondazioni. La situazione è critica. Gli effetti si diffondono mettendo a rischio intere comunità. Quando alla fine sarà calcolato, valutato e verificato il conteggio definitivo, le rilevazioni ufficiali mostreranno l'impatto devastante della tempesta tropicale Nock-ten: 815 morti (con tre dispersi) e 13,6 milioni di persone colpite nel complesso. Alcune aree sono rimaste sott'acqua fino al 2012.

Oltre al tragico impatto umano, la tempesta ha avuto implicazioni commerciali di vasta portata. Un settore particolarmente colpito è stato quello della produzione di unità a disco.

All'epoca secondo produttore di dischi rigidi, la Thailandia forniva circa il 25% della produzione mondiale.1 L'allagamento delle fabbriche aveva causato gravi disagi, con costi stimati per uno dei principali produttori, Western Digital, che si aggiravano sulle centinaia di milioni di dollari USA. Mentre alcune fabbriche situate nello stesso luogo, ma in posizione più elevata, hanno fronteggiato meno disagi (come Seagate), i prezzi della maggior parte degli hard disk sono quasi raddoppiati a livello globale e ci sono voluti circa due anni per tornare alla normalità.2,3 Molti dei principali analisti del settore avevano previsto una carenza di unità a disco a livello mondiale che, con il ripristino delle capacità produttive, in realtà non si è verificata.

Un evento così estremo, che mette in guardia dai pericoli di una supply chain concentrata, ha alterato la strategia aziendale e indotto i management a introdurre una maggiore resilienza nelle loro operazioni? La risposta, forse sorprendente, è no. Per comprenderne il motivo e trarre insegnamenti più ampi per diversi settori e regioni, dobbiamo capire meglio i fattori decisionali che influenzano le supply chain.4

Una diversificazione reale? Bilanciare efficienza e resilienza

Le implicazioni delle inondazioni thailandesi si estendono ben oltre le unità a disco. Dopo tutto, l'ascesa delle value chain globali ha comportato l'espansione delle reti di produzione in tutto il mondo.

L'attrattiva di aree con manodopera a basso costo e l'aumento dei costi associati alla diffusione delle attività in più sedi ha portato a riunire e concentrare le principali capacità produttive in regioni specifiche di un singolo Paese. Implicitamente o esplicitamente, l'incessante ricerca di un'allocazione ottimale delle risorse ha indotto i management a formulare giudizi sulla probabilità che si verifichino eventi a monte devastanti e costosi.

Un recente rapporto dell'OCSE ha quantificato la portata di questa strategia ad alto rischio in diverse aree geografiche e mercati.

Grafico 1: in alcuni settori la concentrazione geografica delle esportazioni di beni intermedi è elevata

Quota dei primi cinque Paesi nelle esportazioni mondiali di beni intermedi per settore, 2018

Fonte: database Inter-Country Input-Output (ICIO) e calcoli OCSE. Nota: escluse le esportazioni del resto del mondo nel database Inter-Country Input-Output (ICIO). NCA sta per "non classificato altrove".

Il grafico evidenzia che le esportazioni di beni intermedi sono altamente concentrate in cinque Paesi.

Grafico 2: la concentrazione geografica della produzione è molto elevata anche a livello di singoli prodotti

Percentuale di produzione globale

Il grafico mostra come la produzione globale di prodotti elettronici e farmacologici sia concentrata in tre Paesi.

Per capire il motivo di questa persistente concentrazione industriale è utile ricordare che, negli ultimi decenni, l'economia globale si è mantenuta su un equilibrio geopolitico stabile incentrato su alcuni pilastri fondamentali: la globalizzazione, la libera circolazione di beni, capitali, tecnologie e persone e il ruolo del settore privato. In altre parole, gli incentivi per una reale diversificazione erano bassi.

Tuttavia, questo equilibrio sta cambiando. L'impulso alla deglobalizzazione, al protezionismo e l'aumento delle barriere commerciali per beni, manodopera e, sempre più spesso, capitali sta provocando una frammentazione del mondo economico e politico, con i governi che rivalutano le loro priorità politiche. Questioni come la sicurezza energetica, l'accesso alle risorse essenziali, la difesa, la resilienza delle supply chain, nonché il posizionamento strategico nell'intelligenza artificiale e nella tecnologia, sono in cima alle loro agende politiche (e ai loro piani di investimenti).

Di conseguenza, dopo decenni di relativa stabilità, i management aziendali di tutto il mondo sono costretti a considerare attentamente la composizione e la configurazione delle loro supply chain. In teoria, le società sono incentivate finanziariamente a ridurre i rischi di costose interruzioni della produzione.

Tuttavia, come mostra la Figura 3 di McKinsey, nonostante l'entusiasmo suscitato dalla pandemia per le strategie incentrate su catene di valore "plus-one", non è ancora chiaro in quale misura si stia diversificando le ubicazioni e attuando politiche di near-shoring o friend-shoring. Le misure meno costose e ad alta intensità operativa, come l'aumento delle scorte di magazzino, sembrano avere la meglio. Come tutte le grandi sbornie, l'euforia iniziale svanisce e, in questo caso, prevale un mix inebriante di guadagni di efficienza a breve termine e fallacia dei costi sommersi.

Grafico 3: intenzioni delle società e azioni intraprese per aumentare la resilienza della supply chain

Percentuale di intervistati nell'indagine di McKinsey tra i leader della supply chain globale

Fonte: indagine di McKinsey tra i leader della supply chain globale (4 maggio-16 giugno 2021, n = 71).

Il grafico mette a confronto la percentuale di leader della catena di approvvigionamento globale che ha pianificato di agire a maggio 2020 e che, negli ultimi 12 mesi, ha intrapreso interventi per migliorare la resilienza della catena di approvvigionamento.

Complessità geopolitica

Nell'indagine UBS Reserve Management Seminar (RMS) 2024 sulle banche centrali, il maggiore rischio per l'economia globale era quello di un'ulteriore escalation dei conflitti geopolitici.

Un dato che non sorprende se si considerano i conflitti militari in corso in Europa e Medio Oriente, i contrasti tra Cina e Stati Uniti e l'ultima ondata di misure protezionistiche annunciate o varate da Stati Uniti ed Europa.

Grafico 4: principali preoccupazioni che incidono sull'economia globale

Quali sono attualmente i principali rischi per l'economia globale?

Fonte: indagine UBS Annual Reserve Manager, risultati a giugno 2024

Il grafico mostra il risultato di un sondaggio in cui si chiede agli intervistati di fornire risposte multiple su quali siano i principali rischi che l'economia globale sta attualmente affrontando. L’86% degli intervistati ha dichiarato che la loro principale preoccupazione è l’ulteriore escalation dei conflitti geopolitici. L’anno precedente questa percentuale era pari al 75%.

Secondo l'OCSE, infatti, le violazioni della sicurezza nazionale, così come i potenziali costi sociali derivanti dalle interruzioni della produzione e dall'eventuale indisponibilità dei prodotti, potrebbero in definitiva ripercuotersi anche sulla sicurezza economica, sanitaria o militare di un Paese.5

La tecnologia e la corsa alla supremazia per l'intelligenza artificiale rappresentano un esempio concreto di come la geopolitica stia influenzando la configurazione della supply chain. Il CHIPS Act statunitense è un esempio lampante di strategia industriale in azione: una misura protezionistica per far fronte all'agguerrita concorrenza cinese. Con il 60% di tutti i semiconduttori e oltre il 90% dei chip più avanzati prodotti a Taiwan, emerge una forte motivazione strategica per la diversificazione.6 La politica pubblica determina il comportamento del settore privato.

È notoriamente difficile diversificare il rischio geopolitico. Tuttavia, sia i governi che le imprese devono trovare modi efficaci per misurare costantemente questi rischi e, come sottolinea l'OCSE, "proporre misure proporzionate per mitigarli".7

Interconnessioni geopolitiche e di sostenibilità

È interessante notare che pochi dei partecipanti alla nostra indagine sulle banche centrali hanno indicato il cambiamento climatico e altri fattori di sostenibilità come un rischio significativo. Tuttavia, secondo Everstream, una società di analisi della supply chain, i cinque principali rischi della supply chain per il 2024 sono i seguenti:8

  1. Condizioni meteorologiche estreme
  2. Nuove normative ambientali che potrebbero compromettere le operazioni
  3. Misure protezionistiche nazionali, in particolare tra Stati Uniti e Cina
  4. La potenziale escalation delle tensioni su Taiwan e il suo status politico rispetto alla Cina
  5. Carenza di materie prime agricole

L'elenco è dominato da questioni geopolitiche e di sostenibilità. Le ragioni di questa divergenza potrebbero essere molteplici. In primo luogo, potrebbe dipendere semplicemente da prospettive top-down e bottom-up differenti. Ma forse, più probabilmente, potrebbe riflettere le crescenti interconnessioni tra geopolitica e sostenibilità. Nell'ultimo decennio si è andato formando un legame sempre più stretto tra le due sfere, che ha interessato diverse loro dimensioni. Ciò significa che, a seconda della prospettiva, è possibile considerare un problema quale la sicurezza energetica principalmente come geopolitico, di sostenibilità o di entrambi.

Le relazioni globali e la geopolitica sono in genere dettate dalle esigenze dei Paesi di avere accesso alle risorse necessarie per prosperare e svilupparsi: a) energia/materiali; b) tecnologia; c) capitale umano. Gli attuali sviluppi geopolitici, deglobalizzazione, frammentazione, protezionismo e conflitti, riflettono gli sforzi politici compiuti dalle nazioni per avere un accesso affidabile a questi "fattori di produzione".

Quindi, se da un lato la geopolitica ha un impatto significativo su tutte queste risorse, dall'altro lo hanno anche le questioni legate alla sostenibilità (ad esempio l'impatto del cambiamento climatico sul capitale umano attraverso la migrazione e la salute, tra le altre cose).

Un esempio lampante di come la concentrazione della supply chain e l'interazione tra geopolitica e sostenibilità si sovrappongano è rappresentato dai veicoli elettrici e dalla domanda di energia rinnovabile. La Cina domina l'approvvigionamento di minerali di terre rare, il che le conferisce una notevole influenza geopolitica sui Paesi che si stanno convertendo all'energia green. In risposta, l'Unione europea e gli Stati Uniti stanno riorganizzando le loro supply chain per ridurre la dipendenza dalla Cina per i materiali chiave, fondamentali per le batterie dei veicoli elettrici.

Grafico 5: la produzione di materie prime critiche è altamente concentrata

Indice HHI globale di concentrazione della produzione nei Paesi produttori e per le materie prime critiche, media 2017–19

Principali 3 produttori delle 10 materie prime critiche con la produzione più concentrata, quote percentuali nella produzione globale

Il grafico a sinistra descrive la concentrazione di produzione delle materie prime critiche utilizzando l'indice Herfindahl-Hirschman. Sul lato destro, il grafico fornisce maggiori dettagli mostrando la quota percentuale dei primi tre produttori delle prime 10 materie prime essenziali a maggiore concentrazione produttiva.

Come ha scritto l'ex governatore della BCE Draghi in un rapporto pubblicato di recente, "la decabornizzazione può essere un'opportunità per l'Europa, sia per assumere la leadership nelle nuove tecnologie pulite e nelle soluzioni di circolarità, sia per spostare la produzione di energia verso fonti energetiche pulite, sicure e a basso costo, di cui l'UE ha una generosa dotazione naturale". In altre parole, ridurre la dipendenza da un singolo fornitore e migliorare la resilienza della supply chain rispettando al contempo gli obiettivi di sostenibilità.

Dal punto di vista della sostenibilità, non si tratta solo di fattori ambientali che si sovrappongono con la geopolitica. Le considerazioni sociali sono sempre più interconnesse e possono influenzare i risultati di società e investitori.

Le value chain internazionali sono state tradizionalmente costruite per avere un accesso migliore e più economico alle risorse, compreso il capitale umano. Man mano che le società valutano la possibilità di accorciare e diversificare le loro supply chain del valore, la domanda di manodopera potrebbe spostarsi tra i vari settori, Paesi e regioni. Alcuni Paesi probabilmente ne beneficeranno: l'India, ad esempio, con la sua forza lavoro qualificata potrebbe essere in vantaggio rispetto alla Cina, alle prese con un'opposizione e un controllo sull'immigrazione crescenti. Per questo motivo, se la loro value chain non è abbastanza diversificata, le società si espongono verosimilmente a un maggiore rischio di mancanza di manodopera qualificata.

Anche la dinamica della domanda di capitale umano sta cambiando. Poiché le competenze digitali sono sempre più necessarie, mentre in passato la domanda di manodopera non qualificata ha permesso alla Cina di emergere, è probabile che anche l'India, il Vietnam e il Messico ne traggano vantaggio. Allo stesso modo, la migrazione legata al clima è oggi la più diffusa e la tendenza è in crescita. Pertanto, l'interconnessione tra geopolitica e politiche locali di immigrazione è destinata ad aumentare.

È qui che l'impegno politico attivo delle società e degli investitori potrebbe fare la differenza. Sebbene la collaborazione con i governi e le organizzazioni multilaterali non sia una novità negli ambienti della finanza sostenibile, è plausibile che, con l'aumento della complessità geopolitica, diventi sempre più importante.

Dopotutto, i governi possono favorire la resilienza nella gestione della supply chain (poiché gli shock possono influire sulle economie). Possono calcolare la concentrazione e i colli di bottiglia utilizzando stress test per i cambiamenti essenziali dell'offerta e quindi assicurarsi che le normative siano di supporto e non un'ulteriore fonte di incertezza.

Occorre inoltre ricordare che l'interconnessione tra cambiamento climatico e geopolitica crea anch'essa opportunità. Ad esempio, la riconfigurazione delle supply chain internazionali guidata dalla tecnologia e dalla resilienza può trasformarsi in un'opportunità. Le società possono infatti migliorare il profilo di sostenibilità delle loro operazioni ed essere meglio preparate ad affrontare un contesto normativo più stringente in materia di sostenibilità.10

Approcci mutevoli e giudizi sulla probabilità

Gli investitori attivi sono giudicati in base ai rendimenti e non alla qualità percepita delle decisioni, concetto spesso riassunto dall'idea che il mercato può restare irrazionale più a lungo di quanto la maggior parte di noi possa rimanere solvibile. Questo può giocare brutti scherzi a livello psicologico: la paura di perdere interessanti opportunità aumenta la pressione, inducendo ad assumere rischi eccessivi e concentrarsi su pochi titoli con il vento in poppa.

Allo stesso modo, i dirigenti sono tentati di ampliare i limiti del rischio a favore di una maggiore concentrazione della supply chain. Se cerchiamo di dare uno sguardo al futuro, sembra inevitabile che emerga un approccio più sfumato e complesso alla gestione della supply chain internazionale. La praticità di gestire un'azienda globale impone ai dirigenti di bilanciare i vantaggi della diversificazione della supply chain con le efficienze di costo risultanti dalla concentrazione. La strategia ottimale sarà probabilmente diversa a seconda delle imprese e dei settori.

I nuovi modelli di rischio dovranno riflettere le mutevoli politiche commerciali e dinamiche occupazionali in tutto il mondo. Le decisioni strategiche relative agli hub produttivi dovranno anche tenere conto delle realtà geografiche in evoluzione delle varie regioni e località, non da ultimo il modo in cui le crisi climatiche e naturali sono interconnesse e influenzano le varie società e le tendenze geopolitiche generali.

Tra le altre cose, si dovrebbe analizzare la stabilità politica e il contesto normativo. Le società possono ricorrere alla pianificazione degli scenari per anticipare i diversi sviluppi geopolitici. Ad esempio, si potrebbe pianificare uno scenario in cui un Paese abbandona un accordo sul clima o vengono imposte nuove sanzioni.

Il mondo di oggi è molto diverso da quello di tredici anni fa, quando i risk manager e i dirigenti delle aziende thailandesi produttrici di unità a disco si riunivano per discutere i pro e i contro della diversificazione delle loro supply chain.

Gli eventi meteorologici estremi, che denotano un legame diretto con il cambiamento climatico, sono oggi sempre più comuni, mentre all'epoca non lo erano. Se domani dovessero ripetersi le alluvioni in Thailandia, proprio come è successo quest'anno in Spagna, si giungerebbe alle stesse conclusioni? Forse no.

The Red Thread: Diversification Edition

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