Autori
Adam Gustafsson Professor Dasgupta

Poche persone al mondo comprendono l'economia ambientale meglio di Partha Dasgupta, Professore emerito di economia all’università di Cambridge e membro fondatore dell'UBS Sustainability and Impact Forum, istituito nel 2022 per approfondire il discorso sulla finanza sostenibile. Le sue credenziali accademiche potrebbero riempire un intero articolo.

Avendo studiato il legame – o la sua mancanza – tra natura ed economia assai prima che diventasse di moda farlo, ha condotto uno studio britannico di fondamentale importanza intitolato The Economics of Biodiversity: The Dasgupta Review. Il Rapporto, molto conosciuto e citato, ha segnato un cambiamento di passo nella consapevolezza delle società e dei mercati finanziari sulle questioni relative alla perdita di biodiversità. Dasgupta ci invita a pensare alla natura come a un bene, e così facendo ci ricorda che il nostro dovere collettivo di custodi consiste nel proteggerla e gestirla per conto delle generazioni future.

Sull’onda delle riflessioni a livello di portafoglio già elaborate in relazione alle emissioni di carbonio (v. The value of a green transition), volevo chiedere al professor Dasgupta se il capitale naturale può essere effettivamente incorporato nelle metriche e nei modelli di valutazione e quali sfide comporta questo approccio. Iniziamo qui un dialogo continuo per cercare di capirlo, anche in vista del lancio imminente del nostro programma di engagement relativo al capitale naturale.

Partha Dasgupta ha inoltre partecipato di recente al Podcast di Monocle The Bulletin with UBS, dove ha parlato dell'economia d'impatto (v. link qui).

Adam Gustafsson: "La natura deve entrare nel processo decisionale economico e finanziario”, cito dall’abstract del suo Rapporto sulla biodiversità. Sebbene la società riconosca l'importanza di preservare e ripristinare la natura, ciò non si riflette esplicitamente nei modelli e nei quadri di riferimento utilizzati per assumere le decisioni. Questo fattore contribuisce a frenare i progressi?

Partha Dasgupta: È un fattore chiave. Ci sono molte forme di capitale naturale che non vengono considerate. Se hai un giardino, oltre al tuo lavoro ci sono la terra, il suolo, il sole, la pioggia e gli insetti che forniscono un servizio essenziale. Una diminuzione degli insetti avrà un impatto negativo sul tuo raccolto, si tratta quindi di un bene che ha un valore tangibile per te. D’altro canto, gli automobilisti che passano lì vicino inquinando l'aria, danneggiando la popolazione degli insetti e riducendo la produttività del giardino non pagano un prezzo diretto per il loro ruolo nel degradare il servizio.

Il problema principale è che non abbiamo modelli per determinare il prezzo del capitale naturale. Se anche estendiamo i nostri modelli decisionali fino a includere il valore del capitale naturale, non sappiamo quale numero dobbiamo aggiungere.
È un problema che merita maggiore attenzione.

AG: Le emissioni di carbonio si configurano come una forma di capitale naturale per la quale abbiamo un prezzo, almeno in alcuni mercati. Il carbonio può forse indicare una strada da percorrere per altri tipi di capitale naturale, oppure è possibile riconoscere il valore in altri modi?

PD: Dev’esserci un prezzo chiaro. Oggi noi non paghiamo per utilizzare le risorse, quindi le sfruttiamo eccessivamente. Allo stesso modo, un negozio dove la sicurezza è scarsa avrà più taccheggiatori. Purtroppo questa è la natura umana. Riconosciamo il valore di un bene, ma comunque abbiamo bisogno di sistemi che facciano rispettare i pagamenti.
Anche i limiti normativi funzionano, ad esempio le quote di pesca o le restrizioni sulle emissioni per le case automobilistiche, ma determinare il prezzo è un approccio più elegante ed efficiente per risolvere il problema.

AG: Per la maggior parte degli economisti il prodotto interno lordo (PIL) è un parametro che presenta notevoli lacune. Ritiene che sia necessario accantonare il PIL e ricominciare da capo? Oppure il PIL può evolversi per incorporare la natura?

PD: Sebbene non condivida la premessa alla domanda, dobbiamo andare oltre il PIL.
Per cominciare, le società del settore privato non si preoccupano del PIL, pensano piuttosto al ritorno sul capitale investito e a massimizzare il valore a lungo termine per gli azionisti. Senza contare che abbiamo già delle alternative al PIL, e non mi riferisco solo a strutture come l'economia della ciambella e le misure della felicità. Dobbiamo abbandonare la mentalità incentrata sul conto economico e spostare l'attenzione sullo stato patrimoniale. Il PIL non è stato concepito per una valutazione economica di lungo periodo: misura solo l'attività economica ed è stato erroneamente adottato come misura della ricchezza. È importante notare che la crescita del PIL misura la crescita dell'attività economica, ma non tiene conto del deprezzamento dei beni. Noi tutti dobbiamo diventare gestori di un bilancio che includa il valore del capitale naturale.

 In un sistema di prezzi ideale, i prezzi rispecchiano il desiderio dell’azionista e della società. Ma fino a quando non arriveremo a quel punto, svolgere attività di engagement con le società d’investimento e incoraggiare un cambiamento positivo può ancora fare la differenza. Partha Dasgupta

Nel Regno Unito stiamo cercando di creare un conto di bilancio per il capitale naturale. La ricchezza di un Paese comprende il capitale naturale. Anche se non si può misurare il prezzo, è possibile ottenere un'idea di ricchezza stimando gli stock di capitale naturale. Dobbiamo passare a misurare la ricchezza delle nazioni, compreso il capitale naturale, invece del PIL.

AG: Questo ha senso a livello di Paese, ma raramente le società private hanno beni naturali nei loro bilanci, quindi come possono adottare questa linea di pensiero?

PD: Ha ragione, nel settore privato determinare il prezzo del capitale naturale è il passo avanti più importante.

AG: C'è uno sfasamento nell'orizzonte temporale in questo caso? Gli investitori che guardano oltre i tre anni sono solitamente definiti "a lungo termine”: questa visione incentrata sul breve termine è parte del problema e possiamo superarla?

PD: Non dovrebbe essere così. Che esista un compromesso tra opportunità a breve e a lungo termine non è una novità. Ma forse il tasso di attualizzazione del capitale naturale dev’essere applicato seguendo un approccio più ponderato.

Se ad esempio si investe in una foresta che darà un rendimento tra vent’anni, il valore dei flussi di cassa appare limitato, ma non dimentichiamoci che la quantità di beni prodotti nell'economia sta aumentando e l’ammontare di capitale naturale sta diminuendo. I flussi di cassa in termini di capitale prodotto domani valgono meno di oggi, ma probabilmente è vero il contrario per la foresta e altri tipi di capitale naturale. Di conseguenza, ha senso applicare tassi di attualizzazione diversi. Il degrado degli ecosistemi ha implicazioni finanziarie monetarie che non si riflettono nei tassi di attualizzazione.

A complicare ulteriormente la questione, a parte l'economia del clima che ha un'unica metrica globale, altre forme di capitale naturale richiedono considerazioni di natura geografica. Un'unità di biomassa in una foresta pluviale in Brasile ha un valore diverso da un'unità di biomassa in un giardino di Cambridge. Qual è quindi l'equivalente del servizio fornito dalla biomassa e come possiamo considerare la posizione geografica nel valutare il capitale naturale? La qualità del prodotto dipende dai servizi che l'ecosistema fornisce.

AG: Flussi di cassa e tassi di attualizzazione sono i due driver principali delle valutazione alla base delle decisioni d’investimento. La sostenibilità come driver dei flussi di cassa o come fattore che si riflette nel tasso di attualizzazione è un dibattito in corso tra gli investitori attenti alla sostenibilità. Cosa ne pensa?

PD: Entrambe le cose. Vedo chiare argomentazioni a favore dell'inclusione nei conti economici di voci riferite all'utilizzo o al ripristino del capitale naturale, e quindi al valore positivo creato. Allo stesso modo, ho appena citato le ragioni della differenziazione del tasso di attualizzazione. I progetti con esternalità negative significative sono intrinsecamente più rischiosi.

AG: I catalizzatori più critici del cambiamento verranno dai governi e/o dal livello sovranazionale, oppure un cambiamento significativo su larga scala può avvenire più organicamente nel settore privato, magari sotto la spinta dei consumatori?

PD: Credo che forse dipendiamo eccessivamente dai governi, il che potrebbe essere pericoloso visto lo stato della leadership che osserviamo in molti Paesi.

Le indiscrezioni, i principi morali, i costumi sociali, le norme di comportamento sono tutti aspetti importanti. Le società prenderanno sul serio la natura se saranno i clienti a prenderla sul serio. Con un sistema di prezzi incompleto, la domanda trainata dai consumatori conta ancora di più. Pensiamo agli hamburger vegetariani. Non abbiamo tassato la carne, almeno non in modo significativo su scala globale, eppure il prezzo degli hamburger vegetariani è aumentato a causa della domanda e stanno conquistando sempre più spazio sugli scaffali.

AG: In che modo gli investitori possono integrare al meglio la natura nelle decisioni d’investimento?

PD: Spetta agli azionisti decidere cosa è accettabile e cosa non lo è. In un sistema di prezzi ideale, i prezzi rispecchiano il desiderio dell’azionista e della società. Ma fino a quando non arriveremo a quel punto, svolgere attività di engagement con le società d’investimento e incoraggiare un cambiamento positivo può ancora fare la differenza.

Sugli autori
  • Adam Gustafsson

    Investment Data Scientist

    Adam è membro del team di data science di UBS AM, specializzato nella ricerca data-driven sugli investimenti sostenibili. È membro del Sustainability and Impact Institute di UBS, dove contribuisce alla leadership di pensiero sulla sostenibilità. Adam è entrato in UBS nel 2020, lavorando prima in Credit Suisse nella ricerca azionaria (HOLT) e come quantitative analyst a Londra e New York, sviluppando modelli di pricing e rischio.

  • Sir Partha Dasgupta

    Professore emerito di economia all’università di Cambridge

    Sir Partha Dasgupta è il Frank Ramsey Professore emerito di economia all’università di Cambridge. Nei suoi studi si è occupato di economia del benessere e dello sviluppo e di economia del cambiamento tecnologico.

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