Jonathan Gregory
Head of UK Fixed Income

Vivere e lavorare a Londra richiede diverse strategie di sopravvivenza per gestire le inevitabili sfide che affliggono gli abitanti delle città. Per gli inglesi, una delle più essenziali è semplicemente andare da A a B con i mezzi pubblici mantenendo un senso di dignità, una certa compostezza e un minimo di spazio personale. I problemi non si limitano solo alle ore di punta: lasciare in massa un moderno stadio di calcio da 60.000 posti al fischio finale e poi discendere nelle infrastrutture di trasporto di epoca vittoriana non è certo per gli enoclofobici o per chi ha poco tempo.

Fino a poco tempo fa, tuttavia, questo particolare problema era abbastanza facile da gestire. Le partite di calcio della Premier League raramente superavano i 90 minuti, forse 2-3 minuti di recupero erano la norma. Quindi una brillante strategia di sopravvivenza (almeno per i tifosi amatoriali) era quella di andarsene poco prima che finissero i tempi regolamentari, mentre restavano solo pochi minuti da giocare, e "battere la folla". Negli ultimi minuti, comunque, non succedeva granché: si poteva uscire prima della fine senza perdersi nulla, sapendo che la vittoria era già assicurata (sicuramente nel caso della mia squadra, di solito in vantaggio per 1-0 a quel punto, un risultato che è la sua specialità e ha pure un coro dedicato).

Ma le autorità calcistiche hanno sentito il bisogno di intervenire, dando carta bianca agli arbitri che ora possono aggiungere più tempo alla fine di una partita per compensare il tempo perso dai giocatori per cercare di portare a casa una vittoria risicata. Improvvisamente, un recupero di dieci minuti e oltre non è più così raro e i minuti extra sono quasi diventati una partita a sé, che richiede una tattica propria, molto “late drama” e improbabili rimonte con i giocatori sempre più stanchi.

Prima che i tifosi si acclimatassero a questo nuovo regime, chi lasciava una partita in vantaggio per 1-0 intorno al 90° si godeva un viaggio di ritorno in metropolitana felice e senza stress, ma poi soffriva l'agonia emotiva un'ora dopo, scoprendo che la propria squadra in realtà aveva perso per 3-1 e che si era perso il 10% della partita che aveva pagato per vedere (beh, se ti sei perso la tua squadra che perde 3-1 dopo essere stata in vantaggio 1-0 per 90 minuti immagino che in effetti sia una benedizione, ma non credo che i legislatori del calcio abbiano mai avuto in mente la benevolenza).

Ah, la celebrazione prematura e azzerata del tifoso di calcio. Cos’altro può togliere la gioia della vita al pari di questo? Ebbene, anche i mercati obbligazionari devono fare i conti con la realtà, ora che le autorità monetarie si sono messe ad aggiungere lunghi tempi supplementari a un risultato che si pensava già deciso. L'euforico senso di vittoria nella lotta all'inflazione che si è impossessato dei mercati obbligazionari alla fine del 2023, determinando gli ottimi rendimenti delle ultime settimane, è svanito nelle prime settimane del 2024. Oggi i rendimenti obbligazionari globali (rappresentati dall'indice Bloomberg Global Aggregate) sono più alti di circa 30 punti base rispetto alla fine di dicembre. Un fattore chiave è stato l'allontanamento delle banche centrali dall'idea che i tagli dei tassi di interesse siano imminenti, come gli investitori avevano sperato qualche settimana fa, e l'aggiunta di "tempo supplementare" al periodo in cui i tassi ufficiali saranno mantenuti ai livelli attuali.

A gennaio avevamo detto che i prezzi di mercato stavano anticipando i tempi in riferimento all’entità della riduzione dei tassi scontata per gli Stati Uniti e l'Eurozona entro l'estate del 2024. La recente debolezza dei mercati obbligazionari riflette un sano ripiegamento di tali aspettative. Mentre scriviamo, le aspettative del mercato implicano che la Federal Reserve e la Banca centrale europea taglieranno i tassi due volte ciascuna entro la fine di luglio (ipotizzando lo 0,25% per ogni mossa), rispetto ai quasi quattro tagli scontati per lo stesso periodo poche settimane fa. Il pricing attuale ci sembra molto più ragionevole.

Ma adesso l'anomalia dei prezzi sembra essere che il mercato si aspetta le stesse mosse, e nello stesso arco di tempo, sia dalla Fed che dalla BCE. Se da un lato ciò potrebbe rispecchiare una narrazione molto simile da parte delle banche centrali sul tempo supplementare necessario per essere certi che l'inflazione stia davvero tornando verso l'obiettivo, dall'altro i dati dipingono un quadro contrastante tra le diverse regioni.

A quanto pare, la Fed sembra avere le ragioni più solide per chiedere una proroga: l'economia statunitense è ancora forte, come dimostra il PIL del quarto trimestre pubblicato ultimamente, pari al 3,3% su base annualizzata, mentre dati ancora più recenti hanno evidenziato che a gennaio l'economia ha aggiunto circa il doppio dei posti di lavoro previsti. Il presidente della Fed Jay Powell ha riconosciuto che è "storicamente insolito" che i rialzi dei tassi effettuati finora non abbiano innescato un rallentamento più marcato della crescita e dell’occupazione.1

Diversa è la situazione nell'Eurozona, dove il PIL del quarto trimestre è stato pari a zero (e negativo nel terzo trimestre), con aspettative di consenso di circa lo 0,5% nel 2024 e ben al di sotto del trend. Anche gli indicatori prospettici sullo stato di salute dell'economia, come gli indici dei responsabili degli acquisti (PMI), sono in netto ritardo rispetto agli Stati Uniti.2 Tuttavia, i membri del Consiglio direttivo della BCE si sono presentati in forze a Davos di recente, minimizzando la possibilità che questo scenario implichi una politica più accomodante nei prossimi mesi.3 Probabilmente l'unica cosa che i due blocchi hanno in comune al momento è un mercato del lavoro forte: nell'Eurozona la disoccupazione ha toccato il minimo storico del 6,4% a novembre (ma si noti che è ancora il doppio rispetto ai livelli statunitensi).
Quindi, se si tralasciassero i discorsi delle banche centrali e ci si limitasse a guardare i dati, probabilmente si arriverebbe alla conclusione che i tagli dei tassi sono possibili in entrambi i mercati, ma più probabili, e prima, nell'Eurozona. Dopotutto, sia la Fed che la BCE hanno aspettative molto simili per quanto riguarda la traiettoria di ritorno dell'inflazione verso i rispettivi obiettivi quest'anno o all’inizio del prossimo.4 Quindi un pricing di mercato che implichi percorsi simili di politica monetaria dev’essere sicuramente sbagliato?

Ritengo che questa sia una conclusione ragionevole da trarre basandosi solamente sui dati, ma alcuni recenti commenti della BCE presentano le controargomentazioni. Isabel Schnabel è membro del Comitato esecutivo della BCE, ex professore di economia finanziaria ed ex membro del Consiglio degli esperti economici del governo tedesco. Io non sono nulla di tutto questo, quindi valuterete le nostre opinioni di conseguenza.

I commenti di Isabel Schnabel in una recente intervista al FT sono degni di nota per chiunque si senta rialzista sui rendimenti dell'Eurozona5: ha minimizzato il potenziale impatto futuro dei rialzi dei tassi visti finora, ha sminuito l'ipotesi che la colpa dell'aumento dell'inflazione in Europa sia da attribuire principalmente a uno shock dell'offerta, ha sottolineato che i tassi di prestito bancari stanno scendendo (e quindi potrebbero sostenere la domanda dei consumatori), ha parlato dell'elevata crescita dei salari e della debolezza della produttività e si è soffermata a lungo sulla possibilità che fattori strutturali come la transizione ecologica e i maggiori costi della difesa possano comportare un aumento dei tassi ufficiali reali relativi in futuro (un'ipotesi che abbiamo già avanzato in precedenza).

A parte i rischi legati all'aumento dell'inflazione strutturale nel lungo periodo, non condivido tutte le sue argomentazioni e dubito che lo facciano anche tutti i membri del personale della BCE. Questo perché la maggior parte delle famiglie ha subito un forte shock negativo sul reddito reale durante la crisi energetica e le richieste salariali più elevate di oggi rispecchiano semplicemente il desiderio di riportare il potere di spesa ai livelli precedenti, piuttosto che rischiare una spirale salari-prezzi. La situazione sembra molto diversa dagli Stati Uniti, dove un ampio stimolo fiscale alla crescita ha avuto un forte impatto positivo per le famiglie che si manifesta ancora oggi nella domanda.

Ma i commenti evidenziano probabilmente che, date le diverse realtà politiche del blocco, raggiungere una sorta di consenso sul tasso ufficiale appropriato crea più difficoltà (e richiede più tempo) alla BCE che a quasi tutte le altre banche centrali.

In questo senso, potremmo quindi concludere che i prezzi di mercato negli Stati Uniti e nell'Eurozona sono in realtà corretti: negli Stati Uniti rispecchiano fondamentali economici ancora forti e la Fed vuole aspettare il più a lungo possibile per il primo taglio dei tassi, mentre nell'Eurozona riflettono semplicemente la "realpolitik" della politica europea.

Ma potrebbe essere ancora più semplice. Se c'è una lezione da trarre dagli ultimi due anni è che il mondo post-COVID, caratterizzato dallo shock energetico, è stato un mondo difficile da definire; i precedenti modi di pensiero e modelli di policy-making non sono stati guide affidabili nel nuovo mondo. In particolare, i modelli che collegano l'occupazione all'inflazione o le condizioni finanziarie alla domanda finale sembrano aver fatto fiasco negli ultimi tempi.

Forse la richiesta delle banche centrali di avere più tempo rispecchia semplicemente il loro desiderio di ricalibrare i propri quadri politici, o almeno di sentirsi più sicure che le versioni precedenti stiano ancora funzionando. I commenti di Isabel Schnabel vanno in questa direzione. Di certo, le stime prospettiche dell'inflazione oggi sembrano svolgere un ruolo minore nella determinazione dei tassi rispetto al passato.
Considerati tutti questi aspetti, i prezzi di mercato e il sentiment degli investitori sembrano più ragionevoli ed equilibrati adesso rispetto all'inizio di gennaio, il che è positivo. Se i rendimenti obbligazionari continueranno a salire rispetto ai livelli attuali, prevediamo di aggiungere duration nelle nostre strategie globali (aumentando l’esposizione ai mercati obbligazionari governativi) e la debolezza dell'economia dell'Eurozona inizia a far apparire interessante questo mercato. Se l'economia statunitense rimane forte, ma l'inflazione più bassa consente effettivamente alla Fed di allentare la pressione, allora avranno senso i cosiddetti "curve-steepener" (ossia il possesso di un numero relativamente basso di obbligazioni a lunga scadenza).

L'inflazione non è ancora arrivata al fischio finale, anzi potrebbe entrare nella sua fase più interessante. Aspettate ad andarvene...

Vuoi saperne di più?

Iscriviti per ricevere direttamente nella tua casella di posta elettronica gli ultimi approfondimenti sui mercati privati in tutti i settori.

Potrebbe interessarti anche

Contattaci

Compila il modulo di richiesta e lascia i tuoi dati per essere ricontattato.

Presentazione del nostro team di leadership

Incontra i membri del team responsabile della direzione strategica di UBS Asset Management.

Trova i nostri uffici

Siamo più vicini di quanto pensi, scoprilo qui